Diritti. Che nessuno possa più dire alla figlia: non ti vaccini
Caro direttore
è recente la pronuncia del Comitato nazionale di bioetica sul rispetto della volontà della persona di minore età nei riguardi della vaccinazione contro il Covid-19. Una pronuncia che ribadisce i princìpi affermati dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) del 2000, princìpi recepiti dall’Italia e dall’intera Ue e che semplicemente dicono questo: il fanciullo è persona, soggetto di diritti inalienabili e non più solo oggetto di tutele e cure da parte degli adulti. Tra i diritti insopprimibili della persona di minore età, viene riconosciuto appunto quello di esprimere la propria opinione in tutte le questioni che lo riguardano, vaccinazione anti-Covid compresa.
Ma, nonostante ciò, ecco il caso di un padre esercente la potestà genitoriale che rifiuta di far vaccinare la figlia tredicenne collocata dall’età di 6 anni presso una famiglia affidataria. Eppure da anni il legislatore ha reinterpretato quella potestà come responsabilità, al fine di garantire all’infanzia una reale tutela da parte degli adulti che ne hanno la custodia legale e che devono quindi garantire il raggiungimento del suo preminente interesse. Ma cos’è questo interesse preminente? E come si declina a livello di scelte concrete? Certamente il preminente interesse non si declina in una conflittualità tra adulti e minori. Giungere a una tale contrapposizione rivelerebbe infatti la profonda e insanabile ferita di un rapporto che esprime non tanto la filiazione quanto la genitorialità. Una genitorialità responsabile sa guardare al figlio come altro da sé.
Una genitorialità matura si interroga su come accompagnare il fanciullo verso una progressiva e graduale autonomia, è sempre in ascolto, riesce a intuire le istanze profonde dei figli; sa riconoscerli come persone, uniche e irripetibili. Ma la persona è sempre il frutto di relazioni. Relazioni fondate sul valore dell’altro non come mezzo, ma come fine, relazioni orientate al bene comune e non alla sopraffazione, una relazione libera da ricatti affettivi e liberata da qualsiasi pretesa di contraccambio. In relazioni così ci si può riconoscere come persone libere, chiamate a vivere insieme per diventare famiglia; famiglia generativa, aperta alla vita e al suo imprevedibile dinamismo. Sarebbe necessaria una genitorialità che non porti i figli a difendersi da padri e madri come da tiranni o padroni. Una genitorialità che sappia fare spazio all’altro, al figlio. Madrid e padri custodi di una vita che chiede di realizzarsi in pienezza, ma che non appartiene loro. Se i genitori non sono capaci di questo, lo Stato deve intervenire a tutela dei ragazzi e nel caso citato lo deve fare con urgenza. Questa tredicenne si chiede perché non è una ragazza come le altre.
Nessun ragazzo dovrebbe arrivare a porsi un simile interrogativo che contraddice alla radice lo stato di diritto e ancora una volta conferma la grave discriminazione che in Italia viene perpetrata a danno di migliaia di ragazzi in ragione dell’età. Chiediamo quindi a gran voce che le istituzioni preposte abbiano il coraggio di restituire a una giovane concittadina il primo dei diritti positivi che le viene negato: la libertà di essere curata. E ci impegniamo a non lasciarla sola in questa battaglia, affinché non esistano più differenze tra lei e gli altri ragazzi. L’Italia deve dare prova di essere un Paese con una Giustizia a misura di bambino, una Giustizia che riconosce al minore la dignità di essere umano e che gli fornisce tutti gli strumenti necessari per realizzarsi come persona.
Coordinatrice di Medicina Solidale e direttrice del Centro Fonte d’Ismaele per i minori fragili