Opinioni

Che fare dell'Europa, e in nome di chi? Qualche saggio consiglio c'è, eccome

Marco Tarquinio mercoledì 8 febbraio 2017

Gentile direttore,
si sa che un tempo, in quello che gli antichi e moderni illuminati giacobini, chiamano “buio Medio Evo”, l’Europa cristiana era fondata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e della Santa Famiglia di Nazareth, che era il modello ideale per tutte le famiglie cristiane. Certo, nemmeno quella era una società perfetta, infatti in ogni epoca e sotto ogni cielo i peccati e le miserie umane sanno creare guai, sofferenze, divisioni e guerre! Solo chi non crede alla presenza nell’uomo del peccato originale, può illudersi che un giorno o l’altro l’uomo – da solo – riuscirà a costruire la società perfetta e il paradiso in terra. A quel tempo però gli uomini, dai re in giù, sapevano distinguere il bene dal male. Proprio al modello dell’Europa cristiana si ispirarono i Padri fondatori di quella che poi sarebbe diventata l’Unione Europea (specialmente i cattolici Schuman, Adenauer e De Gasperi). Oggi assistiamo alla polemica tra coloro che ritengono l’euro, la nostra moneta comune, l’origine di tutti i guai, per cui bisogna liberarsene, e coloro che, al contrario, la considerano la salvezza del continente. Io non sono tra coloro che demonizzano la moneta comune, anche se non la ritengo il collante più efficace. Il male più profondo dell’Europa è invece la perdita – purtroppo voluta – della sua vera identità! Rifiutando il Padre comune e l’ideale dei Padri fondatori, in nome di chi pensiamo di poter ricostruire la Casa comune? Pensiamo forse che la nuova ideologia di gender, de “il corpo è mio e me lo gestisco io”, dei matrimoni gay, degli uteri in affitto, del multiculturalismo, della manipolazione della vita e delle menti possano costruire il moderno “paradiso delle libertà”? Come potrà un’Europa che, dopo aver perso la sua anima, ha perso anche la ragione – scesa ormai sotto la cintura –, trovare la via del bene comune, di cui fa parte anche l’economia?

Claudio Forti

Né sulle tolde (e al timone) della nave Europa né nei pretesi cantieri di demolizione dell’Unione (e dell’euro) vedo una classe politica e dirigente dallo sguardo lungo e profondo. E lei, gentile lettore, probabilmente sa quanto mi appassiona il tema della costruzione (e ricostruzione) politica, morale e spirituale dell’Europa unita dei popoli e, dunque, quanto mi costa una simile constatazione. Stiamo vivendo un passaggio storico – cito dal discorso rivolto da papa Francesco al Parlamento europeo il 25 novembre 2014 – in cui ci è chiesto di essere capaci di riprendere a «costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili». La buona politica germina da qui. E se c’è la buona politica, il resto viene da sé. Il problema, oggi, è che non solo questa visione e questa convinzione mancano, ma sono considerate superflue da una classe politica e dirigente piegata sul presente e strategicamente «sottomessa» su troppe questioni decisive – uso ancora espressioni del Papa – «alla tecnologia e alla finanza» perché risulta indebolita e condizionata dalla «pressione di interessi multinazionali non universali». L’impegno cristiano, oso dire la passione cattolica di un impegno cristiano nel qui e ora, è invece universale e per questo capace di dare valore sia alla grande storia da scrivere insieme sia alle storie piccole da rispettare e unire. Lungo questa direttrice ci sono tre «capacità» indicate in un altro testo che il nostro Papa ha dedicato al Vecchio Continente, il discorso di accettazione del Premio Carlo Magno 2016: dialogare, integrare, generare. Tre verbi che un teologo, non un povero cronista come me, saprebbe percorrere e illustrare in chiave Trinitaria – quella che lei, gentile signor Forti, evoca nel suo incipit – e che hanno storicamente dato senso ed esito alle grandi vicende comuni dell’Europa cristiana e all’intuizione e al lavoro dei padri fondatori della Comunità europea. Ecco, vorrei che l’Europa si chiamasse ancora, e sapesse viversi, come Comunità piuttosto che come faticosa e spesso arcigna Unione... Ma soprattutto – nonostante apparenze, tensioni, fatiche, smemoratezze e autentici tradimenti – credo che sia davvero possibile fermare e capovolgere la deriva tecnicistica della Ue e domare e invertire l’onda pseudo-identitaria e pseudo-popolare che minaccia di distruggere la casa comune europea. Quella casa che negli ultimi venticinque anni abbiamo visto regolare e cintare in tanti modi, anche incomprensibili e insopportabili, e che troppi di noi hanno disimparato a concepire e vivere per ciò che primariamente è: una patria da riconoscere e da amare, non solo un sistema in cui inserirsi. I sistemi hanno soprattutto ingranaggi e burocrazie, le patrie hanno anima.