Il direttore risponde. Che cosa vuol dire avere «coscienza» di fronte ai grandi bivi dell’umano
Gentile direttore,
si fanno sempre molte confusioni sulla coscienza, adesso anche a proposito delle unioni civili. Bisogna distinguere tra il comportamento individuale e il voto per una legge; e, per questa, tra le indicazioni di partito e quelle della Chiesa. Alcuni partiti propongono il «voto di coscienza», cioè senza vincoli, e molti “onorevoli” protestano, vorrebbero essere obbligati… dimenticando (come al solito) l’art. 67 della Costituzione, che impone a ogni onorevole di votare «senza vincoli di mandato». Lo stesso vale per la Chiesa. Principio fondamentale della morale dogmatica della Chiesa è che «attraverso il giudizio della propria coscienza che l’uomo percepisce e riconosce i precetti della legge divina»; «l’essere umano deve sempre ubbidire al giudizio certo della propria coscienza» (§§ 1778 e 1790 del Catechismo). Trent’anni fa un mio amico, quando l’avvertii che secondo la morale della Chiesa l’ultimo giudice delle azioni di un uomo è la sua coscienza, mi rispose che era «troppo scomodo» e che lui preferiva attenersi a norme rigide; quando recentemente gli ho ricordato lo stesso principio, mi ha obiettato che «è troppo comodo» e che ci vogliono norme rigide. È così, per chi non ascolta la coscienza. Cosiddetti “onorevoli” e sedicenti “cristiani” vogliono norme per votare delle norme… Il comportamento individuale deve essere disciplinato da norme legali quando c’è il rischio di danni (fisici o morali, diretti o indiretti) ad altri o alla società; questo è difficile da valutare, e cambia nel tempo. La coscienza individuale, per chi la ascolta, può essere più rigida della legge, ma deve esserlo anche nel rispettare le coscienze altrui (San Paolo diceva che si può mangiare di tutto, ma raccomandava di non farlo in presenza di chi ha dei tabù alimentari). Anche quando si tratta di minoranze. Sulle unioni civili c’è poi anche una questione di linguaggio, che si presta a derisioni, ma che ha un suo senso, come ogni questione di principio, come il rispetto per la bandiera o il valore dei simboli: ci sono coppie etero libere (cioè che potrebbero sposarsi) che chiedono gli stessi diritti (e accettano gli stessi doveri) delle coppie regolarmente sposate, ma rifiutano il matrimonio formale per una questione di principio, e parallelamente coppie omo che non si contentano di una legislazione che conceda loro gli stessi diritti (e doveri) di quelle sposate, ma chiedono un riconoscimento formale di matrimonio; in entrambi i casi non è solo questione di termini, come può sembrare, bensì di simboli, di bandiera, di principio, appunto. Perché alcune coppie regolarmente sposate si oppongono a tali richieste? Temono che ne venga indebolita la loro unione? Hanno così poca fiducia nel loro rapporto d’amore? Pensano che accettare altri sotto la stessa bandiera sia un insulto alla bandiera o che i loro siano privilegi da non condividere con altri? Mi è ancor più difficile capire perché vi si oppongono coppie irregolari o single di ogni genere. A meno che la molla sia, in tutti i casi, la ricerca di quattro voti in più in occasione delle prossime elezioni. Il che ovviamente non giustifica i vergognosi insulti che i bloggers rovesciano su chi la pensa diversamente da loro.
Lodovico Cardellino - Aosta