Editoriale. Cent'anni con la fede nel cuore
Che bella morte, hanno detto tutti. Bella, certamente, per lei, che era pronta da tempo e, pur amando la vita, non aveva paura di questo passaggio.
Io, povero peccatore, in quel momento preferirei essere cosciente e, se possibile, avere la grazia della presenza di un sacerdote: lo so, Dio è misericordia infinita; ma insomma, meglio andare per le vie ufficiali. Nonna Annetta aveva trascorso la vita con semplicità, in un paesino di 500 anime tra le risaie del Basso Piemonte.
Da giovane era stata “mondina”. Sono grato al parroco per aver colto nell’omelia del funerale l’essenza della vita di mia nonna. «Per lei – ha detto – la fede non era qualcosa di accessorio, ma il cuore dell’esistenza». Questo era il suo segreto. Anche quando alcuni anni fa, morto da tempo il marito, un brutto male le aveva portato via la figlia. Aveva reagito, sebbene non fosse stato facile.
Ormai anziana e malata, un giorno mi aveva chiesto: «Ma cosa ci faccio qui su una sedia tutto il giorno?». Non so come mi era venuta, ma le dissi: «Fai esattamente quello che fanno le suore di clausura, preghi!». E lei sapeva che non era un “lavoro” inutile.
È il lavoro che ha svolto per gran parte del suo tempo negli ultimi anni. Non riusciva a ricordarsi il nome del nuovo Papa, ma i misteri del Rosario continuava a saperli alla perfezione. Ora che ci ha lasciati, la sento forse ancora più vicina. «Guarda che sono più vivi di noi!», mi ha detto l’altro giorno un amico prete. In questi giorni, dicendo il Padre nostro, mi viene in mente il volto di mia nonna, perché è lei che me l’ha insegnato da bambino: quando la mattina, dopo la spesa, passavamo nella chiesa parrocchiale per una “visitina” a Gesù e io lo recitavo seguendo la sua voce.
Ancora mi soffermo sul versetto «Non ci indurre in tentazione»: la tentazione dello scoraggiamento, della sfiducia, della mancanza di senso. I Santi ci insegnano che la via cristiana è possibile e bella. Non solo quelli canonizzati: anche quelli che abbiamo nelle nostre famiglie.