Opinioni

Idee. Cattolici tra Trieste, Rimini e Verona: segnali dal basso (utili per l'Italia)

Marco Ferrando sabato 24 agosto 2024

«Avviare processi è più saggio di occupare spazi», aveva detto Francesco chiudendo i giorni della Settimana sociale di Trieste, costruita sull’ardito spartiacque tra contenuti e metodo, tra l’ambizione dei cattolici di alzare il livello del dibattito e il gusto di stare in mezzo alle questioni, alla vita del Paese e delle persone. Due mesi dopo, qualche segnale di novità c’è. Nella rete di amministratori che si sono lasciati con l’idea di non perdersi di vista (di cui Avvenire continua a raccogliere le voci), ma anche fuori, in campo aperto. Basta guardare all’attenzione accesa dalle medaglie di Parigi 2024 per la cittadinanza ai figli dei migranti, che ha riportato al centro una questione certo non priva di demagogia e interessi di parte e ha trovato tra i cattolici un interlocutore interessato in sé (e non stupisce) ma anche ad andare oltre agli slogan e confrontarsi con la complessità dei problemi e delle soluzioni.

Non è un caso che il dibattito – c’è stato anche quello, oltre ai litigi – di questi giorni abbia trovato casa al Meeting di Rimini, dove la sensibilità di fondo era chiara ma ciononostante c’è stato spazio per posizioni diverse e per tutte le sfumature che è opportuno emergano quando si parla di diritti. Luoghi in cui la sussidiarietà è nel dna e le grandi questioni vengono aperte senza già sapere come saranno chiuse sono ormai una rarità, e poterne disporre è fondamentale per la qualità della vita democratica. Anche perché – visti i tempi – si tratta dell’unico contesto in cui resta plausibile coltivare la virtù della riconciliazione che il patriarca Pizzaballa ha subito messo sul tavolo aprendo il Meeting e che il cardinal Zuppi ha ripreso qualche giorno dopo parlando del ruolo che le religioni possono e devono avere nella pace.

A Verona intanto l’Agesci ha vissuto la Route nazionale della Comunità capi: a quasi trent’anni dall’ultima, era un check up dall’esito non scontato sullo stato di salute e il tono muscolare di un pezzo di Chiesa che tra i suoi tratti distintivi serba la volontà di far camminare insieme generazioni diverse. È arrivata una risposta di pancia e di testa, segno inequivocabile della necessità di entrambe per trovare un senso alle questioni che stanno a cuore agli adulti e ai giovani, e che di nuovo attengono alla società che vogliamo e al contributo che i cattolici possono dare, anche quelli che portano più domande che risposte.

Iniziata con la Settimana sociale di Trieste, dunque l’estate ha regalato segnali sparsi e diversi. Ma per questo spontanei e preziosi (peraltro non gli unici da un mondo che vive anche un’operosa ordinarietà), che meriterebbero di essere colti nel loro insieme e coltivati, e non solo a chi vi si trova in piena sintonia. Come molti osservatori ci ricordano da giorni, l’autunno (e non solo) porterà con sé sfide che avranno bisogno di metodo e di contenuti, di confronto vero e di contributi originali e ambiziosi sul piano dell’analisi e delle proposte.

Basta pensare al futuro demografico ed economico dell’Italia e dell’Europa, tema rilanciato proprio al Meeting da un tecnico come il governatore Fabio Panetta, e che l’agenda riporterà d’attualità con la nascita della nuova Commissione Von der Leyen e con la legge di Bilancio. I numeri, ha ricordato Panetta, condannano l’Italia alla marginalizzazione se non agirà sia sul debito (riducendolo) che sull’integrazione di talenti stranieri (aumentandoli). L’urgenza è tale che ormai non c’è da chiedersi se questi nodi vadano affrontati, ma come possano essere risolti. E, ha sottolineato il governatore, in questo momento storico riguardano l’Italia ma anche l’Europa, dove Francia e Germania sono alle prese con difficoltà diverse ma non minori: mal comune mezzo gaudio, a patto che si trovi la forza e la capacità di fare politica, vera. Se è vero che servono processi, dai cattolici può arrivare un contributo, di metodo e contenuto importante. Almeno per innescarli.