Caro direttore, due premesse. La prima: sarei insincero se tacessi la mia preoccupazione e anche qualcosa di più in relazione al nuovo scenario politico. La seconda: è difficile sottrarsi all’impressione di un vistoso deficit di visibilità dei cattolici e – ciò che più conta – di rilevanza della loro sensibilità etico-politica negli equilibri che si sono prodotti (anche se, a fronte di tale lamento, sono solito osservare che il passato non va idealizzato e che la politica non fa che riflettere la scristianizzazione della società e una certa afonia del retroterra sociale e associativo del cattolicesimo italiano, un tempo fecondo vivaio di vocazioni politiche). E tuttavia non l’ottimismo della volontà, ma la speranza teologale, confortata da qualche germinale, positivo indizio ricavabile, per paradosso, proprio dai drammatici giorni alle nostre spalle (nei quali si è sfiorata una lacerante crisi di sistema che stava per investire il Quirinale), suggeriscono di apprezzare tre segnali che hanno visto sostanzialmente unita, alla base e al vertice, la comunità cattolica. Non solo il sostegno esplicito assicurato al presidente Mattarella, ma tre istanze di valore a monte di tale sostegno, da lui in concreto presidiate e interpretate dentro una congiuntura critica. Eccole. La prima: la Costituzione intesa come casa comune, patto di convivenza, quadro di princìpi e regole che possono e devono vivere anche nell’alternarsi dei più (radicalmente) diversi indirizzi politici. Un vero rivolgimento, nel nostro caso, forse persino superiore a quello dei primi anni Novanta, con il collasso del sistema dei partiti a valle del crollo del muro di Berlino, e che introdusse la espressione (impropria) di Seconda Repubblica. Solo un anno e mezzo fa una controversa riforma costituzionale e il referendum che seguì produssero una lacerazione anche tra i cattolici. È bello constatare che quella divergenza di opinioni non abbia intaccato il comune attaccamento alla nostra Legge fondamentale, che porta visibile il segno del contributo di parte cattolica. Secondo: il progetto europeo, anch’esso debitore di statisti cattolici, oggettivamente connesso ai valori della Costituzione. Non solo perché, come certificano i giuristi, i Trattati europei da noi liberamente sottoscritti sono 'internalizzati' come parte di un diritto comunitario di rango costituzionale (ex art. 11 e 117), ma, più in radice, perché l’internazionalismo, lo Stato di diritto e il modello sociale europeo fanno tutt’uno con i princìpi fondamentali della Carta. Terzo e non meno importante: il 'discorso sul metodo' (della politica). Tra cristiani, legittimamente, ci si è divisi e ci si divide sul piano delle opzioni politiche. Ma spero di non sbagliare osservando che si dovrebbe convenire circa il 'limite della politica', su una concezione e una pratica temperata del potere, l’opposto di una politica totalizzante e smodata oggi decisamente dilagante. Con i suoi corollari: rispetto della persona, attitudine al dialogo, un linguaggio civile anche nel dissenso, un qualche scrupolo nel ridurre la politica a propaganda e demagogia, spirito di servizio, senso dello Stato e delle istituzioni quali patrimonio di tutti. Mi piace pensare che il sostegno a Mattarella trascendesse la sua degnissima persona e sottintendesse questo complesso di virtù civiche. Tradizionalmente, per richiamare l’unum
necessarium tra i cristiani, si mettevano in fila priorità programmatiche desumibili da beni/valori quali vita, famiglia, lavoro, educazione, pluralismo, pace. Giusto. Ma mi chiedo – lo spero – se quei tre ancoraggi non solo ricomprendano tali istanze, ma, a ben vedere, ne diano una interpretazione politicamente più pregnante e più matura. Per dirla con Giuseppe Lazzati, più «pensata politicamente».
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