Opinioni

Linea di pensiero feconda. Cattolici in politica, apporto originale e ancora necessario

Vittorio Possenti venerdì 6 luglio 2018

L’irrilevanza dei cattolici in politica è tema antico. Senza un’unità di intenti, di proposta, di azione su nuclei centrali non si può incidere, e pare che da tempo i cattolici versino in questa situazione. Su che cosa dovrebbero concentrarsi? Spesso si risponde volgendosi alla dignità della persona come stella orientatrice, e non vi è nulla da eccepire in linea di principio, salvo poi aggiungere che il richiamo rischia di essere flebile e declinante, tanto il tessuto di questa idea si è slabbrato e soggetto alle interpretazioni più diverse. Vi è urgente bisogno di ridare sostanza a essa, e in ciò l’insegnamento sociale della Chiesa ha le carte in regola. Il mio compito di docente mi ha condotto ad esaminare le principali filosofie politiche della modernità, e a concludere che quella che si esprime in quell’insegnamento è la più integra ed ispirante tra quelle circolanti a livello planetario. Essa dista rispetto al liberalismo politico di Rawls o alle posizioni di Hayek e naturalmente rispetto a quella del marxismo, ormai quasi defunto. Dossetti, La Pira, Moro, Mortati, Lazzati, Fanfani poggiavano su tale pensiero. Non è feconda l’idea che i cattolici debbano limitarsi a proporre visioni del mondo compatibili con le situazioni etico-politiche dell’oggi. Ciascuno di noi come cittadino è titolare del diritto a esporre la posizione che ritiene migliore, di dialogare con chi obietta e di mettere in atto tutti i mezzi leciti per far prevalere nel dibattito democratico e nelle leggi la posizione meglio fondata e più solida, senza che ci si spaventi troppo della critica tante volte ripetuta secondo cui difendere valori fermi e saldi è ipso facto un attentato al criterio di non discriminazione. Molti invitano a dedicarsi a proteggere in sede di etica pubblica anzitutto l’umano che ci è comune. Condivido senza riserve, ma poi chiedo: che cosa significa questa espressione, dal momento che sull’idea dell’umano vi è profonda diversità tra una cultura personalistica e una materialistica e le rispettive etiche? L’idea di proteggere l’umano merita approfondimenti. In primo luogo, occorre dissipare l’equivoco della domanda polemicamente sollevata tante volte: 'Se tu, cattolico, non vuoi, perché io non posso?' Questione mal posta, che non considera la differenza tra interessi e princìpi: gli interessi hanno un prezzo, possono essere contrattati e ammettono punti medi nel corso del negoziato: pensiamo a una trattativa per l’acquisto di un appartamento, o a un contratto sindacale. I princìpi, al contrario, hanno una dignità e non un prezzo, e di per sé non ammettono punto medio: non c’è punto medio tra uccidere e non uccidere. Quindi è molto difficile risolvere le divergenze tra posizioni di principio senza punto medio. Un importante esempio è offerto da leggi che non vietano né ordinano, ma che consentono alcuni comportamenti: pensiamo alle leggi sull’aborto e la fecondazione eterologa. La critica elevata contro le persone a favore della vita si fonda appunto sulla domanda di cui sopra. Il problema però resta: le persone contrarie all’aborto lo sono in quanto è una violazione del diritto alla vita, e non una mera possibilità che essi non scelgono. Con una legislazione abortista le persone pro-life portano un fardello più gravoso di quello che sopporterebbero i pro-choice con una legge antiabortista, come ha rilevato anche Habermas. È un equivoco che i cattolici mirino, e anzi debbano mirare, a rendere obbligatori per tutti i cittadini, i valori propri del cattolicesimo, facendo approvare leggi che li tutelino. A parte l’impossibilità pratica e storica di un simile disegno, del tutto utopico se mai qualcuno volesse nutrirlo, la questione è malposta, per la profonda diversità tra proporre e imporre. È piuttosto l’opinione – diciamo così – liberal-libertaria, egemone nei media, che mira a ricondurre la proposta umanistica entro un recinto confessionale e privato. E invece occorre un pensiero pubblico che colga i nuclei permanenti della convivenza politica che sono in seria crisi. Per stare vicino alla concretezza considero tre punti. Uno. Di grande e problematica portata è la netta supremazia dei diritti civili su quelli sociali, verificatasi ampiamente in Italia e in tutto l’Occidente: la creazione di lavoro è crollata, la finanza domina e le diseguaglianze sociali sono cresciute. Si ha l’impressione che la posizione libertaria prema per sempre nuovi ’diritti’ in campo civile, che costano poco, per distogliere l’attenzione dalla grave situazione dei diritti sociali. Avere una società giusta è grande compito perché la giustizia è la stella orientatrice di ogni società e della giustizia fa parte l’avere buone leggi. In ordine al rispetto dei diritti sociali fondamentale è la tassazione, la cui progressività è scritta nella nostra Carta: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività» (art. 53). Il fisco raccoglie risorse necessarie all’attuazione dei diritti; specialmente dei diritti più costosi, quelli sociali. Due. L’impatto delle biotecnologie e la secolarizzazione della società, per quanto poderosi, non costringono ad accettare l’utero in affitto, il commercio di gameti e di embrioni, il loro congelamento (che li priva del diritto primordiale allo sviluppo e alla crescita), la fecondazione eterologa, e ritenere che ogni forma di unione sia famiglia. La famiglia è stata ricondotta a una sfera esclusivamente privata, in cui tende a prevalere la volontà degli adulti, si è infatti parlato di 'adultocentrismo'. La legge sul divorzio breve (2015) spinge a non dimenticare che l’educazione dei figli rimane obbligo primario (naturale e costituzionale), e che esso perdura a lungo, e in certo modo non viene meno con la maggiore età. Tre. I cattolici impegnati in politica possono con buone ragioni ricordare il compito pedagogico della legge civile anche perché nella città liberal-libertaria e nella cultura che la nutre questo punto notevole è stato messo seccamente da parte. Non vi è possibilità di un’autentica res publica là dove la legge positiva consente quasi ogni atto, per cui niente si può fare (formalmente) contro la legge, mentre tutto si può con la legge, dal momento che questa può avere qualsiasi contenuto. Sarebbe un errore trascurare l’ambito normativo della legge e il Parlamento titolare della potestà legislativa: qui avviare processi significa anche essere presenti con impegno per orientare la legislazione in senso più consono alla persona e al bene comune. I princìpi primari della Carta rimangono validi, sebbene da vario tempo sia stata svolta un’opera di reinterpretazione che lascia perplessi. Basti pensare alla sentenza della nostra Corte sulla legittimità della fecondazione eterologa (2014), su cui sono intervenuto motivando l’opinione che su tale tema, che concerne addirittura la linea fondamentale della filiazione, la Corte si sia espressa difformemente dalla lettera e dallo spirito della nostra Carta, mostrando una inquietante subordinazione al pensiero tecnico, che acquista un predominio sempre più marcato. Al tempo della sentenza vi furono voci perplesse e francamente critiche, ma poi perlopiù l’eterologa è stata accettata come evento normale. Un professore di diritto costituzionale in un editoriale sul 'Corriere della Sera', tre anni fa, scrisse che la nostra Carta è pienamente reinterpretabile secondo le nuove opinioni emergenti nella popolazione. Il tema era quello della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio (art. 29): l’autore intendeva asserire che i concetti di naturale e di matrimonio sono soggetti ad essere reinterpretati secondo i voleri e le pretese del momento, ed anzi addirittura che la Carta avrebbe rinunziato sin dall’inizio a definirli, affidandosi così al mutevole spirito dei tempi. Un ottimo esempio di come sia purtroppo possibile far dire alla Carta quasi tutto quello che si vuole.