Rinnovato impegno formativo dell’Azione cattolica Caro direttore, all’indomani del voto del 4 marzo, il presidente dell’Azione cattolica, Matteo Truffelli, ha ritenuto di dovere compiere una vera e propria 'discesa in campo'. Non tanto sul piano propriamente partitico, ma in una prospettiva di alta politica, e cioè di ricerca dei suoi fondamenti etici e spirituali, nella linea che era già stata quella di un suo illustre predecessore, Vittorio Bachelet. E lo ha fatto – su 'Avvenire' è stato segnalato con rilievo nei giorni scorsi – ricorrendo alla forma del 'libro-intervista', Un piccolo ma lucidissimo libretto, a cura di Gioele Anni, già di per sé indicativo e in qualche modo 'programmatico':
La P maiuscola. Fare politica sotto le parti (Ave). Poco più di cento pagine nelle quali l’Azione cattolica si interpreta a partire da un voto politico – e dalla prospettiva di difficile governabilità che ne consegue – che ha profondamente trasformato il volto dell’Italia, dando avvio sicuramente a una nuova fase della politica italiana: e ciò senza scomodare espressioni come 'terza' o 'quarta' Repubblica – secondo un ormai frusto consumo giornalistico – ma ponendo con forza e insieme con lucidità il problema del che fare?, soprattutto per quanto riguarda i cattolici. Punto di partenza della riflessione di Truffelli è che quel voto ha rivelato l’esistenza di un Paese «diviso e arrabbiato», nel quale la conflittualità ha assunto un’asprezza inconsueta (occorrerebbe risalire, al riguardo, agli anni 1946-48), e insieme lontano dalla politica e incline a rifiutarla se non a demonizzarla. Di qui l’invito rivolto ai cattolici – e a tutti gli italiani – «a non rimanere schiacciati da un modo di concepire il confronto pubblico che riduce sempre tutto a un referendum pro o contro qualcosa o qualcuno». Una Politica – appunto con la maiuscola – che deve recuperare mitezza, rispetto dell’avversario, attitudine al dialogo. Su questo sfondo – e appunto a partire dal ruolo e dalle responsabilità dell’Azione cattolica – Truffelli afferma (nell’Ac ma in generale, ci sembra, per l’intera 'area cattolica'), la necessità di «essere uno spazio di dialogo e di comprensione dei problemi», e ciò per tutti, ma soprattutto per laici credenti appassionati alla vita della città. Offrendo luoghi di dibattito e di dialogo, fornendo materiali formativi e informativi, aprendosi all’incontro con altri, l’Ac è chiamata a «offrire spunti di riflessione e strumenti di comprensione, elementi di valutazione e occasioni di discussione». Un’Ac, dunque, ben presente alla storia e impegnata a «favorire lo sviluppo di percorsi di discernimento, di dialogo e confronto di cui avvertiamo tanto la necessità, innescandoli quando occorre, accompagnandoli e sostenendoli sempre», esercitando la «pazienza dei tempi lunghi dei processi a cui possiamo dar vita insieme». Non, dunque, una banale e contingente 'discesa in campo', ma la ripresa di una consapevolezza, in verità un poco smarrita in taluni ambienti cattolici, che i credenti sono cittadini responsabili. Molti e variegati sono i luoghi della 'educazione alla cittadinanza', ma fra essi dovrebbe avere un suo spazio, certo non piccolo, un associazionismo cattolico consapevole che i credenti non sono mai estranei alla vita della città. Lo aveva intuito un anonimo antico scrittore cristiano (l’autore della
Lettera a Diogneto) allorché aveva affermato, in riferimento al rapporto fra il cristianesimo e la città degli uomini che «è tanto nobile il posto che Dio ha loro assegnato che a nessuno è permesso disertare». I dati sull’astensionismo, tuttavia (per riferirsi soltanto a essi) rivelano che non sono poche le «diserzioni dalla (buona) politica» anche da parte di credenti. Bene dunque ha fatto il presidente dell’Ac a richiamare questa vocazione, che non è il alcun modo estranea, anzi strettamente connessa, a quella 'scelta religiosa' che l’Azione cattolica ha compiuto negli anni di Bachelet: giusta distanza dai partiti e, insieme, appassionato amore per la città degli uomini.
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