Opinioni

Cosa insegna il processo sull'amianto. Caso Eternit, la giustizia è antiquata

Marco Morosini sabato 22 novembre 2014
La sentenza della Cassazione sulla prescrizione della punibilità dei crimini di amianto a Casale Monferrato stimola una riflessione sulla condizione dell’uomo nell’era tecnologica. Come molte altre sentenze nel mondo, essa conferma che la civiltà industriale, di cui la giustizia è una componente, non sa ancora gestire le conseguenze a lunga distanza delle sue tecnologie. Di queste conseguenze legislatori e giudici non sanno o non possono sanzionare le responsabilità in modo confacente alle tecnologie moderne. Nel caso dell’amianto tra esposizione e malattia passano decenni, mentre i tempi di prescrizione giuridica sono molto più brevi. Peggio ancora: la prescrizione delle accertate responsabilità è ora dichiarata, pur sapendo che la frequenza mensile dei decessi per amianto a Casale aumenterà ancora per anni. All’arcaicità dell’attuale diritto si aggiunge un’aggravante: grazie alla capacità di non pochi produttori e venditori di ritardare con tutti i mezzi legali e illegali le conseguenze legislative e giudiziarie delle conoscenze scientifiche, tra l’accertamento di una nocività e il bando delle sue cause passano spesso molti decenni, come dimostrano altri casi, tra i quali quello del tabacco e quello del talidomide, il sonnifero che causò migliaia di nati focomelici. Tra l’accertamento della nocività dell’amianto e il suo bando in molti paesi sono passati più di mezzo secolo e milioni di malattie e morti evitabili. Tuttora l’amianto è estratto e usato in alcune nazioni, che si oppongono al suo bando. Questa vicenda spicca perché il mortale mesotelioma è causato quasi esclusivamente dall’amianto e funge da "impronta digitale" dell’assassino. Per altre tecnologie e sostanze, invece, le relazioni tra cause ed effetti deleteri sono molto evidenti ma non incontrovertibili in sede giudiziaria.«Lezioni tardive da allarmi precoci» è il titolo di un rapporto  dell’Agenzia europea per l’ambiente che descrive decine di casi storici simili a quello dell’amianto.  Ed emergono costantemente sia l’incapacità – o la non volontà – politica di accertare e provvedere tempestivamente, sia la capacità dolosa di alcuni di ritardare bandi e sanzioni.La crescente varietà e soprattutto la scala planetaria degli interventi umani sull’ambiente aumentano più velocemente di quanto progredisca la nostra capacità di prevedere e provvedere. Da sempre l’uomo altera l’ambiente locale. Eppure è solo da meno di un secolo che la scala delle attività umane e dei loro effetti, a volte anche deleteri, sulla salute e sull’ambiente si è estesa alla popolazione mondiale e al pianeta. Inoltre, le conseguenze di alcune nostre azioni hanno acquisito una portata temporale di decine o migliaia di secoli. Questa nuova e tecnologica conditio humana è ancora priva di un’adeguata etica della responsabilità, come affermò Hans Jonas nel libro "Principio responsabilità - Un’etica per la società tecnologica" (1979). Sul piano scientifico questa condizione antropologica è stata riassunta dal premio Nobel Paul Crutzen con il termine Antropocene. Esso indica l’era geologica, iniziata da circa un secolo, nella quale l’agire dell’uomo è diventato una delle principali forze biogeologiche che alterano la faccia della Terra.Di fronte alla nostra nuova potenza di causare "malattie planetarie" sta, però, la nostra drammatica impotenza di prevenirle e curarle. Un certo merito e molta fortuna hanno permesso di accertare e, dopo alcuni decenni, di bandire alcune sostanze inquinanti globali, prima che le loro conseguenze fossero catastrofiche. Ma per altre sostanze non sta andando così.  Per esempio, l’emissione di gas che alterano il clima – per l’80% la CO2 – continua a crescere con probabili conseguenze e costi mondiali che molti economisti e scienziati considerano enormi. Anche l’immissione involontaria negli oceani di milioni di tonnellate di oggetti di plastica continua ad aumentare.Nel mezzo di alcuni oceani si sono formate "isole" galleggianti di piccoli detriti di plastiche, estese per centinaia di migliaia di chilometri quadrati. La parte polverizzata di queste plastiche è ormai diffusa in tutti i mari. Non si conoscono le conseguenze di questo fenomeno, ma due cose sono certe: non è reversibile in tempi ragionevoli ed è estremamente difficile fermarlo.Di fronte all’accresciuta portata spazio-temporale delle nostre alterazioni delle condizioni igieniche e dell’ambiente, leggi e giurisprudenza sono vetuste. Infatti, da millenni esse sono concepite per sanzionare azioni offensive di pochi individui a danno di pochi altri individui, vicini nello spazio e nel tempo. "L’uomo è antiquato" titolò nel 1956 il suo libro più importante il filosofo Günter Anders, descrivendo come la nostra capacità di prevedere sia rimasta indietro rispetto alla nostra crescente capacità di fare. Per questo anche "la giustizia è antiquata". È da questa condizione antropologica e giuridica che scaturisce la sentenza della Cassazione sulla prescrizione di un grave crimine di amianto. Va ricordato tuttavia che proprio un giudice della Suprema Corte italiana, Amedeo Postiglione, è da vent’anni fondatore e direttore instancabile dell’Icef, la "Fondazione per una corte internazionale dell’ambiente", che mira a estendere nello spazio e nel tempo la potestà della giustizia di sanzionare i delitti ambientali.Lo sgomento per la vicenda di amianto di Casale Monferrato non ci impedisca di imparare questa amarissima lezione e di applicarla con urgenza alle tecnologie e alle leggi del futuro. Sarà il modo migliore di onorare la memoria dei milioni di vittime senza giustizia dell’amianto.