Caro ministro Galletti, ho letto l’intervista che hai rilasciato ad “Avvenire” venerdì 22 agosto e sono rimasto senza parole. Incredulo, basito. In questi ultimi anni, la collaborazione che si è instaurata tra il governo, la Chiesa campana e i nostri meravigliosi volontari è degna di lode (e tutti noi abbiamo un debito di riconoscenza grande verso il quotidiano che ospita oggi questa lettera). Tu dici che in “terra dei fuochi” è ancora assoluta emergenza. Non è la prima volta che lo affermi e sai bene come ti siamo grati per l’attenzione che hai verso la nostra terra. In questi mesi abbiamo avuto l’occasione di vederci diverse volte e sempre, con l’aiuto degli esperti volontari, ti abbiamo ribadito quale è, secondo noi, il vero nodo da sciogliere in questa annosa e pericolosa questione dello smaltimento dei rifiuti tossici e no.Quando mi chiamano a parlare in giro per l’Italia, mi accorgo che la maggior parte delle persone ancora non ha compreso chiaramente il cuore della questione. A costoro e al ministro dell’Ambiente, ancora una volta ripetiamo ad alta voce che il disastro ambientale in Campania non è provocato dai rifiuti urbani – la “monnezza” della nonna – che merita un discorso a parte, ma dagli scarti industriali altamente tossici e nocivi per la salute. Il nodo da sciogliere, ministro, è questo e solamente questo. Indugiare su altro serve solo a spostare l’asse del discorso. Occorre dirlo a chiare lettere e senza ingannare la povera gente. Gli italiani, a cominciare dai nostri politici e industriali, debbono sapere che alla disonesta e criminale gestione degli scarti delle industrie che producono in nero, facendola in barba al fisco e avvelenando la povera gente, deve essere messa una volta e per sempre la parola fine. Non sono, ministro Galletti, le bucce di banane e i gusci d’uovo a mandare al camposanto i nostri cari, sono le mille e mille sostanze velenose interrate o date alle fiamme nelle nostre campagne. E perché succede? Per il semplice fatto che smaltire illegalmente fa guadagnare una barca di denaro a certi sinistri figuri che vogliono continuare a chiamarsi industriali e non camorristi. Se è vero che per ogni chilogrammo di scarpe e borse prodotte c’è almeno mezzo chilogrammo di scarti tra pellami, diluenti, solventi, coloranti, collanti, eccetera, è normale che queste sostanze da qualche parte dovranno finire. Se le scarpe sono state prodotte in nero, è purtroppo logico che gli scarti vengano bruciati o interrati. Eccoli qua i famigerati, onnipresenti, orripilanti roghi tossici.Ho portato solo un elementare esempio. I dati Ispra in tuo possesso, ministro, queste cose le hanno dette chiaramente, ma non tutti gli italiani le sanno. Purtroppo nell’intervista da te rilasciata di tutto questo non fai parola. Perché? Al contrario, continui a parlare dell’esigenza di fare altri inceneritori e a portare la tua regione, l’Emilia Romagna, come esempio di civiltà. Credimi, Gian Luca, mi duole il cuore ogni qualvolta debbo scrivere parole che possono far male a chicchessia. Debbo dire, purtroppo, che tu ben sai che quello che affermi non corrisponde a verità. Sai bene, cioè, che gli otto inceneritori dell’Emilia Romagna bruciano quasi quanto il solo maxinceneritore di Acerra che insiste su un solo sito rendendo la vita impossibile ai poveri cittadini acerrani. In Campania, come da anni va gridando l’ottimo e disinteressato dottor Antonio Marfella, che da oncologo dell’istituto Pascale ben conosce la disastrosa situazione sanitaria campana, mancano gli impianti per i rifiuti speciali, per l’amianto, di cui si preferisce continuare a non parlare, e per i rifiuti ospedalieri che – stranamente? – vengono poi ritrovati nei cassonetti dei rifiuti urbani. Leggo con infinito disagio le tue parole: «La scienza deve vincere sull’emotività». Strano: è ciò che stiamo chiedendo da anni. Una cosa però va detta: se siamo arrivati ad avere una legge, di cui, come sai, non siamo assolutamente contenti, ma che pur abbiamo accolto, è stato possibile solamente per il lavoro fatto dai volontari. Con le loro paure, le loro segnalazioni, le loro emotività. Sono loro, ministro, che, in assenza delle legittime istituzioni, latenti, carenti, quando non propriamente colluse o corrotte, tengono sotto controllo il territorio; sono loro che rischiano la vita; sono sempre loro che tengono alta l’attenzione su questo disastro immane, disumano e sciocco. Ministro caro, ti faccio avere uno dei tantissimi messaggi che mi giungono quotidianamente. Una mamma trentenne mi scrive: «Carissimo padre, la visita di controllo ha confermato che dovrei essere operata. Mi sarà asportato mezzo stomaco e una parte del pancreas … Ho tantissima paura. Prego il Signore perché mi dia la forza di affrontare questo cammino…». Di mamme e di papà non ancora quarantenni, di giovani, bambini, adolescenti colpiti dal cancro, i nostri paesi sono, purtroppo, pieni, mentre i nostri ospedali si stanno scoprendo del tutto impreparati ad affrontare il dramma che ci uccide. Parliamone, ministro Galletti. Se vuoi lo possiamo fare in pubblico, nella mia parrocchia, avendo come moderatore proprio il direttore di “Avvenire”. Prima di venire, però, ti supplico, per amore di verità, di rendere pubblici i dati Ispra 2014 sui rifiuti speciali in Italia.