Anniversario della morte del collega. Caro Lino, 10 anni senza. Ma con quel seme buono
Caro Lino,
sono trascorsi dieci anni da quando sei andato via... Era l'8 ottobre 2009. Stessa morte del calciatore della Fiorentina Davide Astori, "nel sonno". Qui le cose cambiano in fretta, come i governi. Il giornalismo che piaceva a te, quello delle storie più vere e più umane, tipo quella dell’ex "Capitano" del tuo Genoa, Gianluca Signorini, non sta bene in salute. Ma noi ci difendiamo e lo difendiamo, il "giornalismo delle buone notizie". A me e ad Alberto Caprotti e a tutti i colleghi che ti hanno conosciuto e amato, mancano molto i tuoi commenti del lunedì, le battute sulla giornata calcistica, l’idea buona per ricominciare la settimana con il piede giusto. In questi dieci anni da Lassù avrai visto che Federica Pellegrini non ha mai smesso di stupirci.
Quell’estate del 2009 eri felice, come non ti avevamo mai visto prima, di ritorno dai Mondiali di nuoto di Roma. Ti ci eri tuffato con tutto l’entusiasmo possibile, in quel primo appuntamento importante da inviato della redazione Sport. Adrenalina a mille e le risate al ricordo di una tribuna stampa ballerina che a un certo punto crollò in diretta tv, e vi eravate ritrovati per terra. «Ci mancava poco che finivamo in acqua anche noi con Magnini e la Pellegrini», ripetevi divertito.
Sei stato, e sei ancora, una presenza preziosa per tutti noi. Un buon giornalista ma soprattutto una persona buona, leale, altruista. Un generoso. Il degno figlio di mamma Sunti e papà Bruno che nel nome tuo hanno raccolto i fondi necessari per costruire quell’ala della scuola media di Bozoum che ora si chiama "Lino Giaquinto". In quel villaggio del Centroafrica perennemente ostaggio della guerra civile, non c’era mai stata una scuola media, ora c’è. E di fianco al tuo nome c’è l’effigie del Bambino di Praga, che almeno una volta l’anno andavi a "trovare" direttamente al Santuario nella Repubblica Ceca. Trasferte silenziose, in incognita, come piaceva vivere (e lavorare) a te. L’ultima fu in Spagna, a Valencia, pochi giorni prima che volassi via. Allo stadio Mestalla te ne stavi lì, in mezzo ai tifosi, al punto che l’amico Dino Storace, addetto stampa del Genoa, ti ha riconosciuto e incuriosito venne a chiederti: «Ma Lino, come mai non siedi nella tribuna dei giornalisti?». E tu con il sorriso sornione del genoano in gita gli hai risposto: «Voglio soffrire per i ragazzi, qui insieme a loro... ». Eri un figlio del popolo, amico mio dal cuore fragile. Sono passati dieci anni – oggi ne avresti 50, come il tuo coscritto che ti scrive – ma sei sempre qui con noi, pronto a riscrivere ogni giorno le pagine migliori del nostro Avvenire.
(Questa mattina, alle 11 presso la chiesa San Domenico di Varazze, la Messa per il decennale della morte di Lino Giaquinto).