I temi e i messaggi dei bambini delle scuole di Brindisi. Caro «assassinatore» ti scrivo La forza della poesia contro la violenza
Cosa si può fare per impedire che il trauma per l’uccisione della sedicenne Melissa, a Brindisi, s’impianti nel cuore e nel cervello dei giovani suoi coetanei o più piccoli? Gl’insegnanti delle scuole di Brindisi, elementari, medie e superiori, hanno risposto: bisogna che i ragazzi ne parlino e ne scrivano. Cioè si esprimano. Espressione è l’esatto contrario di repressione, è un concetto che usiamo spesso. Chi sa un po’ di latino lo capisce al volo."Re" indica un movimento all’indietro: il messaggero mandato avanti a scoprire torna indietro a "riferire". Ma anche: un sentimento che vuol uscire viene compresso all’interno e soffocato. Resta lì, ed emergerà mesi dopo, anni dopo, decenni dopo, chissà in quali forme. È la "repressione". "E-ex" indica un movimento dall’interno all’esterno: qualcosa da dentro di noi viene detto ed esce, da quel momento appartiene a tutti. Benedetto Croce chiama "espressione" l’attività scritta-parlata dell’artista, mentre è semplice "comunicazione" l’attività scritta-parlata degli altri uomini, compresi gli scienziati. L’"espressione" è liberatoria. Un trauma espresso smette di essere un trauma. È il principio della psicanalisi. La psicanalisi è essenzialmente un allenamento all’espressione.
Con i loro pensieri i ragazzi di Brindisi hanno compilato un libro, molto interessante. Interessanti anche i pensieri pubblicati su Twitter. Ne troviamo a migliaia, in internet e sui giornali. Li scorriamo, e il mondo dei giovani ci si spalanca davanti.«Melissa voleva fare la stilista, il mondo della moda la ricordi con una giornata»: hanno inviato messaggi ad Armani, Prada, Della Valle, Versace, Cavalli ed altri maestri della moda. Non significa soltanto continuare la vita di Melissa, ma farla trionfare. È la vendetta su chi quella vita l’ha stroncata: l’assassino. Anzi: «assassinatore» come lo chiama un bambino delle elementari. «Assassinatore» è chi uccide più volte, per professione. I bambini non ammettono che uno uccida una volta, a caso. Se uccide, è perché sa fare quello, e non altro. È un uomo fatto male. Non va trattato come gli altri. «Va tenuto in prigione – scrive un bambino – senza pane e senza acqua»: questo bambino ha sentito che in prigione li trattano «a pane e acqua», ma vorrebbe che questo assassinatore fosse trattato peggio. Non credo che voglia dire: farlo morire di fame. Probabilmente, esprime un’idea di gradazione della pena carceraria, forse una prima idea di ergastolo.L’insulto più frequente all’assassino è «bastardo». «Bastardo» è più grave di «infame». Ma c’è anche chi scrive: «Caro colpevole...», che è un concetto superiore, oserei dire cristiano: la tua colpa è abominevole, ma tu ci sei caro. Perciò «pèntiti», gli scrive una bambina. E un’altra spiega: «Al tuo posto io mi vergognerei». Nell’età infantile, chi si vergogna lo si nota immediatamente, in famiglia, tra gli amici e a scuola: la vergogna è una forma di confessione pubblica, quindi di redenzione. «Cara Melissa, mi sembra che ti conosco da quando eri piccola»: sono in molti a scrivere direttamente a Melissa, chiamandola per nome. Come se Melissa potesse sentire e rispondere. Ma Melissa è morta, si può parlare ai morti? Leopardi risponde di sì, e ci dà l’esempio: «Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale…?». Anche Silvia è morta, possono rimembrare qualcosa i morti? La poesia è nata per questo, per non-rassegnarsi alla morte. I primi monumenti che abbiamo del tempo prima della storia sono tombe, costruzioni dei vivi per i morti. I vivi non si sono mai rassegnati che i morti siano morti, hanno continuato a visitarli e a parlargli. Quei monumenti e quelle parole sono espressione di un turbamento: sono arte. Come questi messaggi dei bambini sono poesie.