Ricordo. Borzaga, una vita al servizio dello sviluppo integrale di persone e comunità
Gianluca Salvatori
L’elenco di quanto abbiamo imparato da Carlo Borzaga è molto lungo. Così lungo da stridere con queste poche righe di ricordo. E se ho detto “abbiamo imparato”, anziché “ho imparato”, è perché in quella lista, al primo posto, c’è stato l’insegnamento del plurale. In Carlo ogni idea, ogni riflessione, ogni discussione, erano occasioni per stabilire una relazione con l’altro allo scopo di produrre insieme un cambiamento nella realtà vissuta. Insieme, con spirito cooperativo. La socialità non era solo l’oggetto dei suoi studi di economista ma l’essenza stessa del suo stare nel mondo. Sarebbe stato inutile, prima ancora che impossibile, separare il suo lavoro scientifico dall’impegno nella realtà, che fosse l’animazione di una impresa cooperativa, l’attivismo culturale o il contributo alla definizione di politiche pubbliche.
La ricerca era la sua passione ma senza traccia di ego accademico. In università a Trento, in Euricse (il centro di ricerca fondato per dare ai suoi studi l’ampiezza e la durata di un’impresa collettiva), e ovunque abbia portato le sue competenze di analisi e di riflessione, i problemi di cui si è occupato emergevano sempre da una lettura di bisogni e motivazioni reali. Studiava le forme economiche con al centro le persone, più che il profitto, perché per lui erano proprio le persone, nella loro esistenza concreta, a contare di più. E l’analisi economica era solo uno degli strumenti possibili per rispondere alle loro domande. Uno strumento talmente difettoso da aver bisogno di sostanziali correttivi per tornare ad essere utilizzabile al servizio dello sviluppo di persone e comunità.
Motivo per cui non si tirava indietro quando doveva sostenere delle posizioni controcorrente, non per polemica o dogmatismo ma perché dentro gli urgeva il desiderio di far valere le ragioni di una visione diversa dell’economia, riscoperta nella sua funzione al servizio di un interesse generale e di una molteplicità di attori. E in cui a nessun singolo interesse dovrebbe essere riconosciuto il diritto di imporsi sugli altri. La partecipazione profonda alle vicende umane è stata la chiave ideale ma anche lo stile concreto del suo lavoro. Non è una sorpresa per chiunque lo abbia conosciuto che i messaggi che ricordano Carlo Borzaga stiano arrivando da ogni angolo del Paese, e non solo. Perché non era solo un riferimento intellettuale per molti ma soprattutto una presenza empatica, con cui era inevitabile trovarsi a condividere con lo stesso entusiasmo letture tecniche e tavole imbandite. Con lui si finiva per parlare di tutto: dal futuro della cooperazione all’avvicendarsi delle stagioni nel suo orto di montagna, dal concetto di impresa sociale in Europa ai segreti del tortello di patate.
E il tratto che già a prima vista più lo distingueva era che non si risparmiava, mai. Si trattasse di un testo da pubblicare con un editore prestigioso o i suggerimenti per una tesi di laurea, il tempo e l’impegno era lo stesso. Metteva un identico trasporto quando parlava con il socio di una cooperativa o con un collega premiato con il Nobel. E fino all’ultimo, quando la malattia gli aveva reso quasi impossibile comunicare, ha continuato a lavorare su testi propri e altrui, con la precisione e il rigore di chi era convinto che ogni parola contasse. Perché credeva che ogni parola avesse in sé potenzialmente la capacità di provocare una riflessione e che a sua volta ogni riflessione potesse generare un’azione.
Perciò neppure una riga va trattata banalmente. Questa serietà non è mai stata espressione di pedanteria ma di un profondo senso dell’impegno. Come quello che lo ha reso fiero della onorificenza ricevuta lo scorso anno dal Presidente della Repubblica. Vissuta non come tributo individuale ma come riconoscimento per il lavoro in un settore di studi troppo trascurato. Sarà la memoria di convinzioni vigorose e solidi valori, di una grande generosità, e di una rara coerenza intellettuale, che unirà quanti mercoledì 6 marzo si troveranno a salutare per l’ultima volta Carlo sotto le volte del Duomo di Trento.