Opinioni

L'Obolo di san Pietro. Con amore tutto intero: carità per Dio e i fratelli, insieme

Stefania Falasca sabato 24 giugno 2017

Riguardo alla carità non c’è niente da dire. C’è infatti tutto un magistero millenario della Chiesa, e non c’è solo la testimonianza costante del Papa, quella luminosa dei santi, ci sono i comandamenti, c’è il Vangelo, soprattutto. Quindi se non siamo caritatevoli e non facciamo concretamente carità è un problema solo nostro. Ma serio, però, se si è un fedele. Perché senza carità non ci possiamo dire cattolici. Perché non si può pregare Dio, dire di amare Dio senza amare concretamente il prossimo. Sono due amori gemelli, un’unione indissolubile, l’uno non può stare senza l’altro. Sono perciò quintessenza, somma e compendio dell’esistenza cristiana. Questa è la dottrina. E se essere caritatevoli non è solo un modo di essere, ma il modo di essere, e non di apparire, se dunque la misericordia «è il modo di essere», non un’idea, né un vago sentimento della nostra fede che galleggia a mezz’aria senza trovare quella concretezza necessaria in cui esprimersi e realizzarsi, la carità non si dice, ma si fa. E facendola la si riceve. Da qui la tradizione spirituale e catechistica che vede nelle opere di misericordia corporale e spirituale la via per esprimere e praticare l’amore che sa comprendere la miseria dell’uomo e contribuisce al suo riscatto. Opere di carità che nel loro insieme sono infinite, perché l’oggetto della misericordia è la vita umana nella sua totalità, nei suoi bisogni in quanto carne e in quanto spirito. E non v’è neppure dubbio che in queste opere si gioca anche la stessa credibilità della Chiesa.

«Vivere le opere di misericordia significa coniugare il verbo amore secondo Gesù». San Tommaso d’Aquino per questo le chiama «summa religionis christianae». E se senza la carità non possiamo dirci cristiani, senza la carità – per la quale nessun uomo è uomo, come afferma san Paolo – non possiamo dirci neppure uomini. La carità – che ci costituisce come uomini e come cristiani – ha una sola minaccia che viene da un pensiero e un agire non cristiano, che porta de facto all’apostasia: è l’egoismo, da cui vengono l’individualismo, l’indifferenza, la corruzione e tutte le conseguenze umane, sociali e politiche che da questo derivano e sulle quali il magistero di papa Francesco ha fatto ampiamente aprire gli occhi.

Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis, ha messo in guardia anche «dai modi paternalistici di occuparsi degli altri» di quei cristiani che «si mettono dalla parte dei ricchi, dei potenti, senza considerarsi loro stessi sempre bisognosi di aiuto». È infatti una tentazione quella «di andare dai poveri e dai bisognosi con un atteggiamento di superiorità». «Non tutto il dare, il servire è altruista – dice Tagle –, anzi, quando viene da una persona presuntuosa il dare è in insulto per chi riceve».

Oggi è la tradizionale Giornata per la carità del Papa. Si chiama Obolo di San Pietro. Ed è l’aiuto economico che i fedeli offrono al Successore di Pietro, come segno di adesione alla sua sollecitudine per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi. E che come si è visto, proprio a partire dagli ultimi – guardando cioè in particolare ai bisogni concreti dei poveri e dei sofferenti, che sono i prediletti del Vangelo e nei quali si fa incontro Cristo stesso – il Papa ha voluto decisamente investire. E con fede operosa nella carità ha già offerto l’aiuto – tramite l’Elemosineria apostolica – a numerose famiglie disagiate, ai clochard che affollano la zona di San Pietro con la realizzazione di servizi per la loro cura, dalle docce alla lavanderia.

Richiesto ora da "Avvenire" a riferire un nuovo rendiconto di tanta operosità, l’arcivescovo polacco Konrad Krajewski, elemosiniere di Sua Santità, preferisce non rispondere: «Ho concordato con il Santo Padre di non rilasciare interviste su questo», spiega, perché, con san Paolo, diciamo che «non si vanta, non si gonfia la carità», ed è Cristo stesso ad averci lasciato un insegnamento insostituibile al proposito. «Anzitutto – ha spiegato il Papa – ci chiede di non fare l’elemosina per essere lodati e ammirati dagli uomini per la nostra generosità: "Fai in modo che la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra"».

Francesco ha parlato dell’elemosina come aspetto essenziale della misericordia: «Dobbiamo fare attenzione a non svuotare questo gesto del grande contenuto che possiede, infatti il termine "elemosina" deriva dal greco e significa proprio "misericordia"». Il dovere dell’elemosina è antico quanto la Bibbia. E a differenza dei filantropi, che guardano solamente alla destinazione del loro obolo, per i cristiani è un bisogno primario interiore. Ma quanta gente giustifica se stessa per la scelta di non dare l’elemosina, spiega ancora papa Francesco, dicendosi e dicendo anche ad alta voce: «"È giusto che io dia a questo che andrà a comprare vino per ubriacarsi?". Ma se lui si ubriaca, è perché non ha un’altra strada! E tu cosa fai di nascosto? Che nessuno vede...». «Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo» (Tb 4,7-8). Questa è l’elemosina. Oggi c’è l’occasione per farla assieme a Francesco. E chi ha in mano una copia di "Avvenire" ha già fatto un piccolo grande gesto in tal senso, perché il ricavato delle vendite di questa domenica è destinato alla carità del Papa.