Saper accogliere. Cari papà, è il momento di fiducia e coraggio
Cari papà,
si continua a scrivere, a parlare, a discutere di voi, del vostro compito così delicato e necessario per la vita dei figli, ma non solo. E anche del bisogno della vostra presenza, sul bisogno di paternità, che c’è in giro, a tutti i livelli e in tutte le declinazioni con cui la paternità stessa è espressa. Anche io mi sono unito alle voci di tanti nel chiedervi di non sfuggire a questa responsabilità, ma anzi di esercitarla fino in fondo e con passione. Però sentivo che questo metteva in gioco anche me e tutti quelli che esercitano la paternità nelle mille sue sfumature – biologica, adottiva, spirituale, educativa, culturale, politica... Ma soprattutto è echeggiata ancora una volta la voce autorevolissima, suadente, mite e forte insieme, di papa Francesco a indicare san Giuseppe come modello, regalandoci una lettera bellissima con cui ha esplorato il «cuore di padre» (Patris corde) dello sposo di Maria.
E così, in occasione della festa di san Giuseppe, della vostra festa, ho pensato di rivolgermi a voi da queste colonne proprio come feci due anni fa, nel 2019. Lo faccio di nuovo con una lettera, stavolta, però, per esortarvi al coraggio e alla fiducia in voi stessi. E, in confidenza fraterna, vi dico anche il perché. Perché dopo tutto quello che si è detto e si è scritto sull’«assenza» dei padri e dopo tutte le aspettative che nel frattempo sono state caricate sulle vostre (nostre) spalle, ci si ritrova dinanzi a una trappola: da un lato sentirsi schiacciati, dall’altro coltivare l’illusione dell’onnipotenza, aderendo a richieste che impediscono altrettanto ai figli di crescere!
«Poveri padri », ha scritto qualche anno fa un mio carissimo maestro da poco scomparso, (don Alessandro Manenti, Tredimensioni 2014). Allora, attenzione, facciamoci furbi e lasciamoci consolare. Altro è l’assunzione delle nostre responsabilità, altro è rispondere e aderire ad aspettative esagerate a tratti infantili o adolescenziali di figli che non vogliono crescere e che in modo passivo aspettano che siano altri ad affrontare la vita al loro posto. E poi c’è un’altra interessante considerazione da fare a salvaguardia nostra e loro: i figli non hanno bisogno di genitori, né di padri o educatori perfetti. Come e dove potrebbero mai trovarli? E come potrebbero mai intelligentemente e liberamente 'imitarli'?
Ora, però, torno di nuovo alla lettera del Papa su san Giuseppe e proprio con l’invito a lasciarvi consolare. «Troppe volte – scrive il Papa nella Patris corde – pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza. Infatti, il padre della menzogna, il diavolo, ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, mentre lo Spirito Santo, invece, la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi» (2). San Giuseppe ci insegna a credere che Dio può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. Non solo, ma da san Giuseppe possiamo imparare ad accogliere tutto di noi e della nostra storia, ritrovando pace e riconciliazione anche con tutto quello che in questa storia non è andato.
Cari papà, è importante riconciliarci con la nostra storia, così come è stata e così com’è adesso, magari nella solitudine del sentirsi rifiutati o nel doloroso pentimento delle nostre colpe vere. «Se non ci riconciliamo con la nostra storia – scrive ancora papa Francesco – non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni». Allora, coraggio, non abbiate paura! Provate a lasciare la rabbia e la delusione verso voi stessi e verso gli altri che avete e che vi ha ferito; lasciatevi riconciliare da Dio con voi stessi, con gli altri, con la vita, con Dio stesso, magari. Abbandonate la voglia di tenere tutto sotto controllo e accogliete, senza alcuna rassegnazione, ma con fortezza piena di speranza, ciò che non avete scelto eppure esiste. Se accogliete così la vostra storia, la vostra vita, allora la vita stessa, la vostra stessa paternità ferita vi svelerà un significato nascosto, fatto anche di ombre, ma senza alcun dubbio pieno di luce. Perché tutto concorre al bene di coloro che amano Dio: anche i fallimenti, anche gli errori, finanche il peccato.
Quanto scrivo a voi, ben inteso, lo dico anche a me stesso e lo condivido con tanti fratelli che vivono il mistero e il fascino di una paternità educativa e spirituale. E così – scrive il Papa nella sua lettera – anche quando tutto ci lascia pensare che le cose hanno «preso la piega sbagliata» e alcune di queste non potranno mai più cambiare, sarà cambiato il nostro sguardo e così la vita potrà ripartire miracolosamente, soprattutto se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. «Dio può fare germogliare fiori tra le rocce».
Che sia anche questo il significato del giglio e del bastone fiorito che san Giuseppe ha tra le mani? Di certo, nel vostro e mio cuore è rifiorita la speranza. Auguri.
Sacerdote e psicologo