L’intervista di Eugenio Scalfari a 'Soul' ( Tv2000) con le sue affermazioni sui bisogni dei poveri capaci solo di «bisogni primari» in questi giorni ha scatenato, soprattutto sul web, non poche reazioni negative e persino indignate. Tra queste un risalto esemplare ha avuto, su questo stesso giornale, un editoriale di don Maurizio Patriciello (
LEGGI) che, tra le altre argomentazioni, richiama le umilissime origini di tante personalità e di santi ai quali il fatto di essere poveri non ha certo inibito i desideri più elevati. A questi, peraltro, è possibile aggiungere padre Joseph Wresinski, nato da famiglia poverissima, fondatore del movimento ATD-Quarto Mondo e che ha in corso una causa di beatificazione. Padre Wresinski risponderebbe con molta serenità a Scalfari con queste parole pronunciate nel 1988: «I più poveri ce lo ricordano spesso: l’analfabetismo, la disoccupazione non sono la peggiore sventura per l’uomo. La peggiore sventura è di non essere assolutamente considerati, al punto che persino le sofferenze sono ignorate. La cosa peggiore è il disprezzo dei concittadini. È questo che esclude da ogni diritto, che impedisce di essere riconosciuti degni e capaci di responsabilità». Ma se proprio vogliamo trovare, seppur paradossalmente, un valore alle parole del noto giornalista possiamo riconoscergli il merito di aver determinato attenzione, dibattito e riflessione sui bisogni dei più poveri e sulla dipendenza forzata di questi bisogni dai beni di sopravvivenza. Ora l’approccio ai bisogni dei poveri che utilizza Scalfari è evidentemente quello di Maslow, il modello piramidale fondato sulla conseguenzialità dei bisogni, secondo il quale i bisogni secondari si evidenziano solo dopo la soddisfazione dei bisogni primari. A questo modello mi sembra utile opporre un modello più dinamico e in grado di interagire costantemente con lo sviluppo della società. Si tratta del modello di Henry Chombart de Lauwe che distingue i bisogni in
bisogniobbligazione e
bisogniaspirazione. Questi ultimi sono quelli che gli stessi individui o gruppi di persone percepiscono come bisogni impossibili da soddisfare allo stato attuale e che quindi non determinano alcun mutamento nella propria persona. Ad esempio potremmo aspirare in molti a possedere una Ferrari, ma il non-possesso non determina in noi alcun tipo di emozione. Per contro i
bisogniobbligazione sono quei bisogni che percepiamo come legittimi e che dovrebbero essere obbligatoriamente soddisfatti poiché il nostro sistema sociale possiede le risorse e la conoscenza sufficiente per esaudirli. Una generalizzata non soddisfazione di tali bisogni, ecco il legame dinamico con la società, determina nella comunità sociale una tensione crescente che nel tempo obbligherà chi detiene il potere a organizzarsi per rendere possibile la soddisfazione di questi bisogni. Da qualche decennio svariate ricerche nazionali ed internazionali dimostrano che l’esigenza di ricostituire un significativo legame comunitario, spesso anche affettivo e di prossimità, si rivela, per i portatori di handicap, per i senza-tetto, per gli anziani nonautosufficienti, per i tossicodipendenti, per gli immigrati, per le minoranze etniche e le altre fasce deboli, a partire dai più poveri, il bisogno sociale più impellente, spesso più importante degli stessi bisogni materiali. La condizione di povertà, con tutti i bisogni di sopravvivenza che ne derivano, viene addirittura scelta da molte persone, come ad esempio i senza-tetto perché non sopportano un trauma affettivo o l’essere maltrattati dalle istituzioni. Sarebbe quindi doveroso prendere atto di questa profonda trasformazione sociale già in atto. La qualità relazionale e affettiva dei rapporti sociali, il diritto di proteggere e dare istruzione e cultura ai propri figli, il diritto di avere rispetto ed essere trattati come persone con piena dignità, l’accesso a tutte le prestazioni del welfare e il diritto a tutte le sicurezze come una casa, una buona salute e un reddito minimo: sono tutti 'desideri' delle persone povere che fanno parte ormai e da molti anni dei
bisogni-obbligazione. Le nostre istituzioni hanno il dovere 'vederli' e corrisponderli, gli intellettuali di rispettarli.