«En e Xanax» di Samuele Bersani, un invito a condividere le debolezze. Cantare l’amicizia come rivoluzione nell’era dei paradisi individuali
Anche i boom di Borsa vennero ascritti ai nuovi consumi farmaceutici degli operatori di Wall Street, resi artificialmente più ottimisti se non preda di un senso di onnipotenza sganciato dalla realtà. Qualche eco musicale si ebbe anche in Italia, con un gruppo dall’effimero successo denominatosi non a caso Prozac+, aedo di pillole e 'acidi'. Il ricorso agli antidepressivi è più che raddoppiato dal 2001 al 2009, passando da 16,2 a 34,7 dosi giornaliere per 1.000 abitanti. Un fenomeno medico e sociale importante, che meriterebbe attenzione maggiore a livello collettivo. A volte anche una canzone intelligente può servire da utile richiamo. Colpisce infatti il titolo dell’appena diffuso nuovo singolo di Samuele Bersani, cantautore capace di infilzare efficacemente paradossi e storture del nostro tempo.
En e Xanax si chiama il brano. Così direttamente, con il nome commerciale di due degli ansiolitici più diffusi. «A Milano (e a Roma, a Torino…) c’è chi ci vive attaccato», si sente dire con meraviglia e sgomento da chi ha la sventura di entrare nel novero sempre più vasto delle vittime di paure quotidiane. L’En compariva una ventina d’anni fa nel celebrato Domani nella battaglia pensa a me, dello scrittore Javier Marías, come una promessa di sonni sereni in arrivo dall’Italia per le notti inquiete della Casa reale spagnola. Oggi sono gocce diffuse in molte case comuni, facile rimedio a stress meno nobili.
«En e Xanax non si conoscevano / prima di un comune attacco di panico e subito / filarono all’unisono», canta Bersani. «En e Xanax si tranquillizzavano / con le loro lingue al gusto di medicina amara / e chiodi di garofano». In un’intervista, l’autore ha voluto precisare che è la storia di un’amicizia, in cui si trova il coraggio di confessare le proprie debolezze. «Lei mi detto: 'ho un problema, mi veniva l’ansia, non riuscivo a dormire, ho preso l’En', e io in molta tranquillità le ho detto: 'guarda anche io ho avuto mesi in cui ero davvero come una mosca nella plafoniera e ho preso lo Xanax' e lei con molto candore: 'allora io e te siamo En e Xanax'».
Il punto forse è questo: un farmaco che sostenga nei momenti paralizzanti di difficoltà è un dono del cielo; una sostanza che diventi l’unica maschera con cui riusciamo ad affrontare la nostra vita è una sconfitta per il singolo e un problema per la collettività. Qual è il nostro io autentico? Quello che sperimenta debolezze e punti d’arresto, che costruiamo giorno dopo giorno, con fatica e consapevolezza? O quello artificialmente lineare e spensierato, che prima o poi dovrà fare i conti con una realtà diversa? Perché si possono coprire problemi oggettivi con una reazione psicologica personale, ma se l’ansia deriva da situazioni sociali come la mancanza di lavoro e di prospettive per i giovani, non è meglio cercare di cambiare quelle condizioni piuttosto che rifugiarsi in un proprio 'paradiso' individuale? Il disagio può essere la spinta ad affrontare gli eventi negativi, a unire le forze, a non appiattirsi sullo status quo. In fondo è anche la via d’uscita positiva che propone Bersani nella sua canzone: «Se non ti spaventerai con le mie paure / un giorno che mi dirai le tue / troveremo il modo di rimuoverle / In due si può lottare come dei giganti / contro ogni dolore / e su di me puoi contare per una rivoluzione».