Mentre i nostri figli cominciavano il loro anno scolastico, la Relazione sulle tossicodipendenze 2014 del Dipartimento politiche antidroga informava tutti noi che la loro generazione consuma sempre più cannabis. Nell’anno in corso quasi uno studente su quattro ha fumato marijuana almeno una volta, con un aumento di due punti percentuali rispetto all’anno precedente. Insomma, un numero sempre maggiore di giovanissimi pensa che una canna di tanto in tanto non faccia male. E si comporta di conseguenza. È una lezione che in parte hanno imparato da un’infinità di messaggi che arrivano a loro da musica, cinema, trasmissioni televisive: la
normalizzazione del consumo di sostanze ad azione psicotropa è in atto ovunque. Nelle interviste ai divi dello spettacolo ma anche a molti politici “di grido”, la domanda ricorre ormai obbligatoria: “Lei ha mai fumato uno spinello in vita sua?”. E lui, l’intervistato, ammicca, sorride compiaciuto, fa una simpatica smorfia di traverso. Sembra non si trovi mai nessuno che interrogato a proposito risponda: “Sono orgoglioso di non averne mai fatto uso. Sa che le dico? Che non solo non ne ho mai avuta voglia, ma in tutta sincerità non ne ho mai sentito neppure il bisogno”. Oggi non è politicamente corretto fare dichiarazioni del genere. Anche molti genitori sembrano non preoccuparsi dell’uso di cannabis da parte dei figli: “Una canna? E che sarà mai!” sono le parole che sintetizzano il loro pensiero. Così, gli adolescenti – che dovrebbero crescere anche alla luce delle nostre norme e regole, del nostro esempio e insegnamento – si convincono da noi stessi adulti che forse davvero un po’ di fumo non fa male a nessuno. Come adulti abbiamo davvero sbagliato negli ultimi vent’anni: invece di preoccuparci di quanto “psicotropi” stessero diventando la società, la cultura, l’ambiente in cui crescono i nostri figli, ci siamo messi a litigare su droghe pesanti e droghe leggere, sdoganando di fatto il consumo di certe sostanze e convincendo sempre più persone che se una droga è “leggera” non può poi fare troppo male. Le parole sono importanti. E proprio questa facilità di parlare della droga come se si trattasse di roba di poco conto ha fatto sì che si abbassasse sempre più la soglia di allerta del mondo adulto e di conseguenza si ampliasse sempre più il numero di giovanissimi che ne sono consumatori. Magari occasionali, ma consumatori. Impariamo invece, tutti insieme a dire e a pensare una sola cosa: la cannabis per un adolescente è una sciagura. Tutto ciò che interferisce con il normale funzionamento mentale è, infatti, da usare con estrema cautela soprattutto quando si è in età evolutiva e il cervello sta ancora costruendo e formando le proprie vie neuronali sulle quali si strutturerà il funzionamento mentale per il resto della vita. La cannabis in adolescenza produce in modo veloce una sensazione di benessere ed euforia che ogni ragazzo dovrebbe invece conquistare attraverso le proprie esperienze di vita, le relazioni con gli altri, l’esplorazione del mondo. Il benessere psicotropo non deriva da alcuna esplorazione concreta, ma è un piacere artificiale derivato dallo “stare lì”, in mezzo agli altri lasciando che un principio attivo entri nell’organismo e produca il suo effetto. Molti lo fanno solo per aggiungere un po’ di divertimento in più al loro stare al mondo. Altri invece lo fanno perché quel benessere artificiale tampona e maschera un disagio profondo. E allora si anestetizzano con la sostanza e la trasformano in un rimedio semplice, a basso costo e poco impegnativo che restituisce l’illusione dello “stare bene”. Se è vero che la scienza ha dimostrato che la cannabis produce una dipendenza minore rispetto ad altre sostanze psicotrope, va anche detto che questa affermazione vale soprattutto per gli adulti. Proprio di recente, una ricerca condotta su un campione di 127 adolescenti da un équipe di ricercatori di Harvard e pubblicata dall’autorevole
Journal of Addiction Medicine ha rivelato che il rischio di dipendenza è tra i giovani utilizzatori molto più elevato di quello dei consumatori adulti. Nei ragazzi si è rilevata una incrementata tolleranza nei confronti della sostanza, con il conseguente bisogno di assumerne in quantità sempre crescente e uno scarso successo nell’abbandonarne l’utilizzo, nonostante una serie di problemi clinici derivanti da esso. E ben un terzo del campione di giovani utilizzatori manifestava anche sintomi di ansia, irritabilità e depressione. Al di là di queste evidenze, che sembrano non lasciare dubbi rispetto al rischio clinico associato all’uso della sostanza in giovane età, resta il fatto che ogni sostanza psicotropa usata al di fuori di un protocollo di cura, abitua il ragazzo a cercare benessere grazie a un aiuto chimico. Questo riduce la spinta a ricercare la felicità all’interno delle relazioni con gli altri e sulla base della messa alla prova delle proprie competenze. In questa diffusione dei consumi psicotropi tra i giovanissimi, l’unica a vincere è la cultura del consumo, che in chi cresce non vede soggetti in formazione, ma solo potenziali clienti con soldi in tasca ai quali è possibile vendere qualsiasi cosa. Per invertire la tendenza, la prima cosa che dobbiamo fare noi adulti è decidere da che parte stare. La scelta non è tra droghe pesanti e droghe leggere. La scelta è tra una oppure una felicità psicotropa e una felicità autentica. E quindi
drug-free, libera dalla droga.