Opinioni

La resa evocata da più di duecento parlamentari. Canna libera? È una brutta sconfitta

Ferdinando Camon venerdì 17 luglio 2015
Eccola daccapo, la proposta della canna libera. Se la proposta passa, la cannabis si potrà coltivare in casa, fumare in luoghi privati, acquistare nei Monopoli di Stato. La cannabis, o marijuana, è sempre stata controversa: ai tempi della contestazione, il motto dei movimenti era "fumo sì, buco no". Il ministro della Pubblica Istruzione ebbe un’idea che, col senno del poi, non pare male: far nascere dei Centri Anti-Droga regionali, e chiamare a farne parte anche giornalisti, scrittori, preti, filosofi, e farli parlare nelle scuole. Ricordo la mia perplessità: «Ma signora [il ministro era una donna], la droga è chimica, io sono uno scrittore, m’intendo (solo, e poco) di parole». E lei: «È questo che voglio. I ragazzi han bisogno di qualcuno che gli parli. In casa non parlano con nessuno di questi problemi».Accettai. A presiedere il mio CAD era uno psichiatra, sopravvissuto (questo lo rendeva ai miei occhi un eroe) a Mauthausen. Con lui nacque subito uno screzio, proprio sulla marijuana. Compilammo un manualetto da regalare a ogni studente delle superiori, e il presidente voleva scriverci: «La marijuana infonde un senso di benessere». Io, da profano uomo delle parole, mi opponevo. Proponevo di usare il termine "euforia". Votammo. Vinse "euforia". Gli altri CAD facevano anche loro un manualetto, e nessuno usava "benessere". Il concetto generale dei CAD era che anche la marijuana «altera la coscienza e provoca uno scollamento mentale». In quegli anni usciva l’Enciclopedia Europea Garzanti, dove le droghe eran trattate da premi Nobel. Il concetto diffuso era che anche le droghe cosiddette leggere provocano un frattura della personalità. Nelle discoteche arrivava l’ecstasy, il suo effetto veniva descritto come «un lampo nel cervello, un flash, che stacca dalla realtà e dura una ventina di minuti». C’è dalle mie parti una grande discoteca, dove la polizia una sera fece una retata e raccolse 12mila pasticche del flash. Ho molto sofferto, per quella notizia. Dunque, accanto a me c’erano 12mila ragazzi che, al sabato sera, perdevano il contatto col mondo per una ventina di minuti? E poi, come tornavano in terra? Come Jekyll-Hyde?Combattere la droga, anche quella leggera, è positivo, perché anche la droga leggera fa male. Tuttavia, siamo sinceri: abbiamo sempre ostacolato le droghe, ma le droghe sono ancora lì, diffuse e a portata di mano. Anzi la situazione è peggiorata: una volta il problema di chi voleva usare le droghe era "dove e come cercarle", adesso il problema è "come rifiutarle". E allora la proposta di legge per liberalizzare la marijuana prende un altro significato: abbiamo perduto, arrendiamoci. Ma è una proposta ambigua. Quel che la rende ambigua è che non viene presentata come una sconfitta (come dovrebbe), ma come una vittoria, la vittoria della saggezza. Il che non è. I ragazzi che si facevano di marijuana a scuola si distinguevano per tre difetti: i ritardi, le assenze e le dimenticanze. Uno psichiatra avrà le prove mediche dei danni di queste droghe, io ho le prove scolastiche. Qualcuno di questi ragazzi veniva in motorino e tamponava spesso agli stop: tirava la frizione ma dimenticava di frenare. Stava assente e dimenticava di portare la giustificazione. Mi dicevano che i ragazzi operai nelle fabbriche, al tornio, sotto marijuana sbagliavano nel costruire i pezzi. Diventavano operai scadenti. Come a scuola erano scolari scadenti. Noi insegnanti ci ostinavamo a voler cavare da quei ragazzi il meglio. Più di duecento parlamentari adesso ci dicono che la battaglia è sempre stata impossibile, abbiamo sempre perso, arrendiamoci. Ma è una resa al male. Faccio fatica a firmarla.