I Giochi sono fatti. La commissione di valutazione del Coni oggi dovrebbe scegliere Roma come città italiana candidata ad ospitare le Olimpiadi del 2020. Un duello impari quello ingaggiato con Venezia, più teorico che reale, visto che era parso immediatamente chiaro il divario di probabilità. Più suggestiva e romantica l’ipotesi Venezia, più concreta e rodata quella della capitale. Il Coni oggi ribadirà che la sua scelta è esclusivamente tecnica e basata sui severi requisiti richiesti dal Cio per rendere credibile (e dunque eleggibile) una candidatura olimpica. Ma non basterà a sedare le polemiche, i campanilismi, le strumentalizzazioni politiche (e anche le gaffe) che hanno incartato la questione sin dall’inizio. Vale la pena di ricordare le improbabili disponibilità offerte nei mesi scorsi da Bari e Palermo per organizzare i Giochi, le immediate prese di posizione Nord contro Sud e viceversa. Per non dire della geniale soluzione proposta da un ministro della Repubblica in carica e di certo non alticcio («Facciamo Roma e Venezia insieme»), prima che qualcuno lo informasse che – da regolamento e dai tempi di Filippide – le candidature congiunte non sono ammesse.Questo per chiarire che prima di rendere appetibile l’idea di un’Olimpiade italiana a chi avrà il potere di sceglierla, il Coni ha dovuto (e dovrà) far capire a tutti che di cosa seria si tratta. E che merita, eventualmente, uno sforzo potente, convinto e condiviso. Roma che, anche per lo scetticismo interno, perse l’edizione del 2004, dovrà ora battere la concorrenza di città come Tokyo, New Delhi, Madrid, Rabat e Istanbul quando nel 2013 il Cio voterà l’assegnazione dei Giochi. Tempi lunghi dunque e traguardo lontano, in tutti i sensi. Ma non è mai presto per decidere da che parte stare.Che l’Olimpiade sia una grande occasione resta un dato di fatto. Il progetto di Roma olimpica prevede l’utilizzo di 42 impianti, 33 dei quali già esistenti. Il budget della candidatura è di 42 milioni di euro, quello operativo per i Giochi di 1,9 miliardi, per un costo totale di 13 miliardi. Cifre che fanno impallidire pensando ai venti di crisi che soffiano sul nostro Paese e quelli che si possono immaginare all’orizzonte. Ma è pur vero che l’ultima Olimpiade estiva chiusa in perdita è stata Mosca 1980. E che dopo il disastro finanziario di Montreal 1976, per coprire il quale i cittadini canadesi ancora oggi pagano una tassa, ogni edizione dei Giochi ha regalato occupazione e prosperità a chi l’ha organizzata, trasformando in meglio città a volte spente e demotivate, e migliorando la qualità della vita di chi le abita.È chiaro dunque che il problema di un’ipotetica (per ora) Olimpiade in Italia non è l’Olimpiade, ma l’Italia. Solo pensare di imbarcarsi nella ciclopica matassa organizzativa sotto la scure dei nostri antichi e recenti scandali parrebbe una follia. Lo suggeriscono il ricordo della terribile esperienza dei Mondiali di calcio di "Italia ’90", dei suoi appalti truffaldini, dei suoi sprechi e delle sue cattedrali nel deserto. E quello ancora fresco relativo agli impianti del Mondiale di nuoto, proprio a Roma dello scorso anno, che sta attualmente abitando i tribunali. Ma se questa fosse l’unica unità di misura utilizzabile, dovremmo arrenderci sempre e comunque.Credere che l’Italia sia condannata al «non fare» per l’alta probabilità di infettività dimostrata, equivale a rinunce preventive assurde e penalizzanti. Soprattutto per lo sport nostrano, che invece ha dimostrato di saper organizzare grandi eventi con lo stile e la creatività che il mondo ci invidia: lo ha decretato l’Olimpiade invernale di Torino, e l’ha ribadito – almeno dal punto di vista sportivo – la stessa Roma del nuoto. A pensar male non si sbaglia quasi mai, ma il suicidio preventivo non può essere la ricetta che risolve i problemi. Se occorre rischiare per far ripartire cervelli, muscoli e speranze di un Paese, forse sarebbe il caso di provarci. I Giochi, in questo senso, per fortuna non sono ancora fatti.