Converrà che proviamo a farcelo piacere comunque questo pallone bucato nella qualità e gonfio di ipocrisie. Converrà adeguarsi, sopportarlo, magari “turandosi il naso”, come diceva qualcuno. Riferendosi a vicende diverse da queste, ma nemmeno poi tanto. La regione è semplice: il nostro calcio è fatto così, e non c’è nulla che indichi che possa cambiare in tempi ragionevoli. Inizia oggi un campionato che definire italiano è un eufemismo: sono arrivati altri 72 nuovi stranieri, e quando trovi un titolare in squadra dal cognome che sembra nostrano, è come al luna park: si vince un pesciolino rosso. Comunque è un campionato da “day after”. Dopo il ciclone del Mondiale sfumato con vergogna, dopo l’estate fredda dei Tavecchio e quella calda di un calciomercato mai decollato, l’encefalogramma è piatto. La bufera è passata insomma, ma non si muove foglia. E l’erba non ricresce. Guardi alle formazioni che debutteranno tra oggi e domani, leggi nomi mai sentiti spacciati per campioni, rifletti sulla consistenza di squadre talmente sbilanciate e improbabili da far passare la voglia di appassionarsi. Ma – per fortuna – non di pensare. Si riparte da Antonio Conte fuggito dalla Juventus perché temeva di non poter vincere più. Evento sottovalutato, al di là dei suoi risvolti tecnici, ma che da solo invece racconta il problema del calcio italiano. Non ci sono i soldi per essere competitivi, arrivare secondi è considerato comunque un fallimento, le idee non bastano. Ma anche questo è un alibi che regge fino ad un certo punto se il Napoli è già fuori dalla Champions League prima ancora che cominci quella vera, e ad eliminarlo l’altra sera è stata una squadra, l’Atletico Bilbao, che fattura 27 milioni di euro in meno e ha una rosa che ne vale 80 in meno rispetto al club di De Laurentiis.Abbiamo perso una grande occasione, questo è certo. Il tracollo della Nazionale e il ribaltone a livello federale potevano avviare un rinnovamento vero, o almeno un tentativo, che invece non c’è stato affatto. Nessuna ipotesi di riforma è stata ancora discussa, tanto meno la riduzione del campionato da 20 a 18 squadre per renderlo meno sbilanciato e più interessante. Al di là della divisione delle poltrone, nessuna politica per provare a ridurre il divario con il resto d’Europa è stata messa in atto da una classe dirigente che nel calcio ha dimostrato di non esistere. Il nostro pallone ormai è un malato cronico, ma è nel vuoto di vedute che va cercata la colpa, nella mancanza di un orizzonte, di un pensiero comune. Possibilmente valido. Si è infettato nelle dispute di corridoio tra dirigenti arroganti e miopi, attaccati al potere e senza altri interessi oltre al proprio. Si è rovinato con la violenza degli ultrà, per decenni tollerati, poi contrastati con leggi sbagliate che hanno allontanato dagli stadi solo le persone per bene, respinte da tornelli, tessere del tifoso, biglietti nominativi. E dalla corsa a ostacoli messa a punto per entrare in spalti pericolosi, dove ancora comanda l’illegalità impunita.Oggi per fortuna la ridicola sanzione della squalifica della curva per “discriminazione territoriale” non esiste più, o meglio è stata sostituita da un’ammenda a carico dei club. Ma la scorsa stagione ci sono state dieci partite giocate con uno o più settori chiusi per “razzismo”, termine impropriamente usato nel pallone, ma ormai entrato nel vocabolario e addirittura nel regolamento del gioco. Sventolare una banana a un giocatore di colore dagli spalti di uno stadio è un reato, ma parlare di banane e di giocatori di colore in un’assemblea federale non lo è: anzi si diventa presidenti del calcio.In un crescendo di assurdità e ipocrisie siamo arrivati al punto che il campionato di Serie B è iniziato ieri sera con 21 squadre al posto di 22 perché ancora non era stato deciso quale fosse quella meritevole di sostituire il Siena fallito (in extremis la scelta è caduta sul Vicenza). Ne avrebbe avuto diritto il Novara, escluso però per motivi “etici”: una colpa pregressa (e per la quale ha già pagato la sua pena), la condanna cioè per vicende di Calcioscommesse nel 2011 relative a Novara-Siena. Guarda caso la stessa partita per la quale Antonio Conte ha scontato quattro mesi di squalifica. E nonostante la quale è stato “eticamente” promosso commissario tecnico della Nazionale a 3,6 milioni di euro di stipendio l’anno.Cose che succedono solo da noi, insomma. Ma che fare? 45 mila persone l’altra sera a vedere l’Inter a San Siro in un poco eccitante preliminare di Europa League sono un numero che fa riflettere. Il pallone c’è e (un po’ meno forse) continua a piacere. Abolirlo non si può, e non sarebbe nemmeno giusto per tutti coloro che ancora lo seguono con passione, e sognano emozioni e poesia. O anche solo un gol. Basta sapersi accontentare: c’è attesa per la Roma che ha tutte le qualità per vincere lo scudetto, la Juventus con un nuovo timoniere che tenta di primeggiare per la quarta volta di fila, l’Inter potenzialmente più forte degli ultimi anni, il Milan che aspetta il colpo finale di mercato per poter contare. Questo campionato pare più malinconico di un canotto a fine agosto, ma potrebbe anche divertirci. E avrà una strepitosa novità: l’assenza di Mario Balotelli, emigrato in Inghilterra insieme ai suoi eccessi. Tra tante piccolezze, una di meno con la quale fare i conti.