Il coraggio e l’umiltà non vanno spesso a braccetto ma domenica scorsa sono apparsi insieme allorché, per la seconda volta nella storia, un Pontefice ha fatto visita alla grande sinagoga di Roma. Un incontro carico di valenze simboliche, per la data che ricorda l’assalto al ghetto e per le soste ai luoghi di una dolorosa memoria che il Papa ha voluto significativamente compiere prima d’entrare nel Tempio Maggiore degli ebrei romani. Un incontro intenso, cordiale e affettuoso, punteggiato da frequenti applausi in un clima di palpabile commozione ma anche di grande schiettezza. «Un momento di grazia» l’ha definito Benedetto XVI che ha rilanciato il dialogo tra Chiesa ed ebraismo nonostante le differenze sostanziali, destinate a rimanere tali, e nonostante le polemiche riesplose recentemente su Pio XII il cui nome è risuonato in modo accusatorio nell’incontro alla sinagoga. Il Papa non è sceso su questo terreno e ha di nuovo teso la mano al popolo dell’Alleanza con la tenera forza che è il tratto distintivo di questo pontificato dove la mitezza s’accompagna al rigore dottrinale. Il gesto compiuto da Papa Ratzinger s’inscrive nel solco tracciato ventiquattro anni fa dal suo predecessore che, primo Pontefice in duemila anni, mise piede in una sinagoga. Un evento nel segno della continuità che però non significa pura e semplice ripetizione. La visita di Giovanni Paolo II abbatté il muro dell’ostilità e dell’incomunicabilità che duravano da duemila anni. Ma dopo la caduta di antiche barriere occorre costruire nuovi ponti, ed è all’interno di questo lungo e laborioso lavoro di riconciliazione che assume grande importanza l’incontro di Benedetto XVI con la più antica comunità ebraica della diaspora occidentale. Il Papa tedesco ha ripetuto con toni accorati l’appello a «sanare per sempre le piaghe dell’anti-semitismo e dell’antigiudaismo ». Ha sciolto il ghiaccio del sospetto e della diffidenza alzandosi in piedi, prima di tutti gli altri, per rendere omaggio ai sopravvissuti della Shoah. Ha confermato ancora una volta di nutrire sentimenti sinceri di stima ed amicizia per il popolo ebreo. E definendo «irrevocabile » la linea del dialogo tracciata dal Concilio ha rassicurato i suoi interlocutori, a cominciare dal rabbino capo Di Segni che aveva sollevato l’interrogativo nel suo discorso di saluto. Contro il rischio di rimanere prigionieri del passato Benedetto XVI, più che a guardare in avanti, invita ad alzare lo sguardo verso l’alto, «riconoscendo l’unico Signore». Il Papa-teologo ha richiamato cattolici ed ebrei a ritrovare nella Bibbia il fondamento più solido e perenne, ricordando, come aveva già fatto nel suo viaggio in Terra Santa, che il legame di solidarietà fra Chiesa e popolo ebraico non è un fattore estrinseco ma si colloca «a livello della loro stessa identità spirituale ». E ha indicato nel Decalogo il faro per tutta l’umanità. È in questa prospettiva che il Papa ha delineato con accenti innovativi una sorta d’agenda di lavoro, un impegno comune per quanto riguarda la tutela della vita, la difesa della famiglia e la protezione dell’ambiente. Benedetto XVI è il Papa che ha visitato più sinagoghe, tre in cinque anni. Vorrà pur dire qualcosa. Quel che con Papa Wojtyla fu un gesto straordinario ed eccezionale, con Papa Ratzinger è diventato un atto pressoché tradizionale. È il segno tangibile di una riconciliazione che nessuno riuscirà a fermare.