Il cammino comune, il bene comune. Un unico destino
Il cardinale Angelo Bagnasco
Al Natale si associano tanti sentimenti e immagini. Ogni anno le strade delle nostre città si trasformano e si rivestono, per predisporci a festeggiare un giorno nel quale il ricordo della nascita di Gesù rischia di confondersi con le luci delle vetrine e la rincorsa agli acquisti. Sta a ognuno far sì che questa ricorrenza non si trasformi in una ricerca dell’effimero, né diventi appannaggio di logiche consumistiche, ma porti in noi e nel nostro mondo un frutto di vita nuova.
Del resto, il Natale è ormai una festa di tutti, non solo di chi professa la fede nel Figlio di Dio nato da Maria. Appartiene a tutti perché quel Bambino ha cambiato per sempre il modo di vedere Dio e al tempo stesso di concepire l’umano. Egli è nato per darci la vita di Dio, vita che nel Natale si rivela al mondo con umiltà e tenerezza, e si offre a tutti a cominciare dai poveri e dagli afflitti. Rovesciando la prospettiva dei più forti, ha proclamato la beatitudine dei semplici che si affidano a Dio. Il suo amore ha immesso nel mondo una fraternità nuova: radicata nel cuore della Trinità, supera i confini della razza, del genere e del rango sociale. La sua vita umile e donata ha additato una ricchezza che supera l’avere e i traguardi terreni, spingendo lo sguardo oltre, a ciò che è assoluto e più duraturo.
Di tutto questo il presepe è segno; segno che ci interpella e ci porta a interrogarci su ciò che siamo, sulle cose che veramente contano nel nostro vivere, e ci invita a essere come i pastori che si aiutano nel cammino della vita verso l’unico, straordinario destino. Il presepe rappresenta un patrimonio che la nostra cultura dovrebbe custodire gelosamente, senza che venga accantonato per il timore che, essendo "di parte", ostacoli il dialogo e l’integrazione. È il contrario, poiché la manifestazione della propria identità culturale o religiosa rende possibile il dialogo vero, dove ognuno ha qualcosa di bello e di vero da comunicare.A indicare la grandezza di colui che era nato e l’onore che gli era dovuto, i Magi portarono doni, inaugurando senza saperlo la consuetudine dei regali di Natale. Se fatti col cuore, con intelligenza e sobrietà, gli stessi regali dicono a chi li riceve che è importante per noi e, in un contesto portato a misurare ogni cosa sul criterio del guadagno, rappresentano il segno di una logica diversa, più umana. Lo scambio dei doni, però, chiede di allargare l’orizzonte per abbracciare chi ha meno e non potrà ricambiare! Chi è solo o malato attende il dono del nostro tempo; chi è dimenticato, la nostra attenzione; chi è escluso, perché non ha casa, lavoro, terra, il calore della nostra festa. Condividere il bene significa moltiplicarlo e rendere il mondo un po’ migliore. Così il Natale sarà più vero per tutti.
In un mondo in cui dilagano la guerra e la violenza, e nel quale la sterile logica del terrore cerca di dividere con la paura e la contrapposizione, il Natale richiami a tutti l’urgenza della misericordia, che papa Francesco, nel Giubileo, ci ha spinto a meditare e praticare: essa è strada obbligata per costruire la pace e per trovare la gioia. Sono i due doni che chiediamo a Dio e che Egli, in Gesù, ha preparato per noi, per le famiglie, per la terra tutta.