Domenica la Perugia-Assisi. Per responsabilità. Camminare la pace rammendare il mondo
Caro direttore, domenica 9 ottobre è in programma l’appuntamento quadriennale della Marcia Perugia-Assisi. Un 'nuovo' evento di pace e di fraternità che richiama sempre varie decine di migliaia di 'marciatori', di età e anche idee, diverse tra loro. La parola 'pace' è di casa ad Assisi, città dove la pace diventa una realtà che si respira, che si declina nelle infinite forme, azioni, e gesti che la pace contiene. Qui, poco più di due settimane fa, centinaia di leader delle religioni del mondo si sono messi insieme per la pace.
A me sono rimaste nella mente e nel cuore alcune affermazioni di Zygmunt Bauman: «È necessario affidare le speranze del genere umano non ai generali dello scontro di civiltà, ma a noi soldati semplici della vita quotidiana. Noi non possiamo sottrarci dal vivere insieme e se c’è una parola da ripetere continuamente è 'dialogo'. Il dialogo non è un caffè istantaneo, non dà effetti immediati, il dialogo è la pazienza, la determinazione e la profondità... E solo con il dialogo ci sono vincitori, non perdenti». Assisi, san Francesco e l’altro Francesco, ci possono guidare. Bisogna che ci abituiamo, sempre di più, a parlare di pace non solo in contrapposizione alla guerra.
Soprattutto occorre che, sempre di più, la smettiamo di pensare che la 'colpa' è solo degli altri: governi, politici, fabbricanti di armi sempre più potenti e micidiali, speculatori di Borsa... Bisogna invece, che ci convinciamo a prendere atto del nostro diretto, personale coinvolgimento, della nostra responsabilità.
Nel recente messaggio, in occasione della Giornata mondiale per la cura del Creato, papa Francesco ha scritto: «Assuefatti a stili di vita indotti sia da una malintesa cultura del benessere sia da un desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno, sia come partecipi di un sistema che ha imposto la logica del profitto a ogni costo, senza pensare all’esclusione sociale o alla distruzione della natura, pentiamoci del male che stiamo facendo alla nostra casa comune». E al pentimento, bisogna che segua «un fermo proposito di cambiare vita con nuovi atteggiamenti e comportamenti concreti, più rispettosi del Creato».
Trattare la Terra, il suo suolo, il suo sottosuolo, e soprattutto i suoi abitanti come stiamo facendo tutti e ovunque, è la prima e mondiale causa, personale e strutturale, della distruzione del Creato: persone, animali, vegetazione. E ci rende complici dei mali e delle miserie esistenti, nonché di tutte le assurde, innaturali guerre ed ingiustizie frutto di cupidigia e cattiveria. Questa constatazione della realtà delle cose del mondo ci conduce, anzi ci costringe, ad esempio, a un uso oculato della plastica e della carta, a non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, a differenziare i rifiuti, a utilizzare il trasporto pubblico, a condividere un medesimo veicolo tra più persone, e così via, liberandoci, finalmente, dall’ossessione del consumo.
Se don Milani fosse ancora tra noi, quanti «I care» direbbe a noi che troppo facilmente ci rassegniamo a un tale scandalo. In occasione della prossima Marcia per la pace, potremmo limitarci a rispondere a una domanda: che mondo desideriamo trasmettere a chi verrà dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo oggi? E mentre cammineremo da Perugia ad Assisi, anche magari per solo un tratto data l’età o altro, non potremo dimenticare la terribile e inaccettabile ingiustizia, l’autentica guerra che sta avvenendo, nel silenzio di tutti, col commercio illegale e profitti criminali legati ai minerali «di sangue» principalmente in Burundi, Uganda, Tanzania e Sud Sudan.
E che dire dello scandalo disumano che si compie nell’altra guerra, tra i popoli che migrano dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan, dall’Eritrea, dalla Nigeria in cerca di libertà dalla fame, dalle persecuzioni, dai diritti negati, dai massacri razziali, dall’assurda follia del fondamentalismo religioso? Che dire dei tanti altri 'assurdi' che si scontrano con persone, per diverse ragioni, divise tra soccorrere questi disperati o lasciarli annegare in mare o ricacciarli a casa loro.
E ancora, come chiamare, se non atti di guerra i diversi 'muri' di ferro e di cemento che si stanno moltiplicando alle frontiere di alcune nazioni contro « l’invasione dei profughi»? Quali reazioni generano in noi queste follie omicide? Siamo capaci di fare anche le «piccole cose di poco conto» che dipendono da noi, e che (almeno) «rammenderebbero il mondo», impedendo che il mondo continui a peggiorare?