Libri. Cammello o corda? Porta o ago? Le interpretazioni del famoso detto evangelico
Cammello o corda?
E dunque, un cammello o una corda? Una porta o un ago? Quintali d’ingegno si sono spremuti intorno al famoso detto evangelico: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» e ora anche due libri recenti rilanciano il dibattito sulla corretta interpretazione.
Sembrava infatti che si fosse raggiunta l’auspicata quadra allorché si concluse che la «cruna dell’ago» era in realtà il nome di una porta nella cinta di Gerusalemme antica, un pertugio di scarsa apertura cui appunto i cammelli delle carovane commerciali non potevano accedere se non dopo essersi sgravati del carico, e magari piegandosi sulle lunghe zampe. Soluzione ingegnosa… Senonché della suddetta porta non esiste memoria storica e tanto meno archeologica.
Si passò dunque all’ipotesi gomena, fune, corda: che è quella lanciata anche dal volume di Pinchas Lapide, grande esperto e divulgatore di ebraismo, «La Bibbia tradita. Sviste, malintesi ed errori di traduzioni» scritto nel 1996 ma proprio ora annunciato in nuova edizione da Edb (pp. 274, euro 24). Lapide vi accredita la teoria di «un fuorviante errore di traduzione», dovuto a una banale inversione di lettere nei manoscritti; si sarebbe passati cioè dalla parola aramaica «gamia», (in greco «kàmilon») che significa gomena, a «gamai» («kàmelon»), ovvero cammello. «I pescatori del lago di Tiberiade – osserva il rabbino – avevano dimestichezza con le gomene e i relativi aghi». E in effetti il paradosso usato da Gesù riesce anche più comprensibile grazie all’accostamento virtuale tra una grossa fune e il filo sottile che di solito si infila nella cruna dell’ago; senza contare che l’ipotesi è stata già avanzata addirittura molti secoli fa da alcuni Padri della Chiesa.
Ma se invece il fustigatore degli errori della Bibbia avesse a sua volta sbagliato la correzione? È appunto ciò che si desume da un altro saggio divulgativo appena apparso, «Storie d’amore per lo studio» (Einaudi, pp. 194, euro 21), scritto dal filologo Paolo Pellegrini per smascherare qui pro quo e passi falsi nei testi letterari di disparati autori ed epoche; il primo capitolo è dedicato proprio al brano di Matteo. Da subito lo specialista destituisce di fondamento la teoria della gomena, in base al principio della «lectio difficilior»: nessun antico copista, per distrazione o per volontà ipercorrettiva, avrebbe mai trascritto «kàmelon» al posto di «kàmilon»; semmai sarebbe successo il contrario, fune invece di cammello, così da offrire alla frase un senso indubbiamente più logico. E invece i manoscritti più autorevoli recano proprio la lezione più difficile e meno scontata.
Il filologo va allora a caccia di eventuali altre citazioni del cammello nel medesimo Vangelo e in effetti ritrova l’animale con le gobbe in un’altra celebre invettiva di Gesù: «Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23, 23). Per di più ambedue le occorrenze si riferiscono a testi che riguardano il denaro (la prima si trova infatti al termine del brano del giovane ricco) e associano il quadrupede da soma a un passaggio molto stretto: in questo caso la bocca. Infine, un passaggio del Talmud sacro agli ebrei (risalente però a due secoli dopo Cristo) contiene un modo di dire analogo: «Chi può far passare un elefante per la cruna di un ago?». Ce n’è a sufficienza per far concludere a Pellegrini: «Possiamo affermare dunque che questo modo di esprimersi non è insolito nei discorsi di Gesù, tutt’altro».
Ma una parola definitiva non sembra affatto detta. Va almeno segnalata la suggestiva teoria di un outsider, lo studioso di fonosemantica Filippo Maria Leonardi, secondo il quale in ebraico la parola che designa il cammello sarebbe analoga alla lettera Gimel, mentre la cruna dell’ago corrisponderebbe alla lettera Qoph. Dunque a suo parere «Gesù sta facendo un gioco di parole tipicamente ebraico», tanto più che «la lettera gimel, nella tradizione ebraica, è messa in relazione con l'idea di ricchezza o ricompensa» mentre con la sua pronuncia «la qoph esprime l'idea di una compressione o strozzatura, come la cruna dell'ago».
Forse è meglio concludere tornando al saggio Pinchas Lapide: «È un pio errore credere che si possa fissare a livello del linguaggio il Dio dell’universo. Si può comprendere il vivo desiderio di una parola definitiva, dotata di autorità divina e in grado di sconfiggere solennemente l’umano groviglio delle diverse interpretazioni, ma il dogmatismo misconosce la vera relazione che intercorre fra religione e linguistica. Dio e le sue insondabili vie sfuggono a qualsiasi nostra capacità di comprensione e possono essere quindi espressi solo per allusioni».