Per colpa di un pallone, che è diventato una “palla matta”, adesso ci becchiamo anche del «popolo razzista». Lo dice l’inglese Gary Lineker: «
Too many racists in Italian football». Cartellino giallo, caro Lineker. L’Italia non è un Paese con più razzisti rispetto a Inghilterra, Francia o Germania. Il vero problema italiano è che certi scalatori di vertici, quando sono lassù, al potere, invece di essere d’esempio, si comportano come
hooligans. Un presidente della Federcalcio inglese o tedesca non chiamerebbe mai i calciatori di colore «mangiabanane», come ha fatto Carlo Tavecchio con gli «Optì Pobà». Un ex ct, un dirigente di lungo corso delle squadre nazionali, sa che l’integrazione è un valore fondante di tutte le società civili, e allora non direbbe in pubblico, «ci sono troppi
neri nelle nostre squadre giovanili». Arrigo Sacchi invece lo fa e poi per correggersi sciorina un curriculum in cui dimostra che lui con i “neri” (Rijkaard e Gullit) non solo è andato d’accordo, ma grazie a loro col Milan ha vinto tutto. Persino il torbido presidente della Fifa, Joseph Blatter, si è detto «scioccato» dal calcione dell’Arrigo, mentre il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, si duole delle critiche all’«amico Sacchi». Qualcuno dovrebbe spiegargli i “neri” nelle nostre under 20 sono appena il 5%. Cartellino viola, quello del fairplay, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio quando fa notare che «l’Italia non è più quella di trent’anni fa: i figli nati qui da genitori stranieri sono italianissimi». Per capire quanto il Paese sia cambiato c’è stato un tempo in cui il “nero” nel nostro sport era molto ricercato. Il sociologo Mauro Valeri ricorda che su “I giganti del basket”, nel 1971, Luigi Cecchini, lamentando la nostra scarsa competitività scriveva: «Noi i “negri” non li abbiamo, né possiamo dipingere di nero i nostri ragazzi per superare l’handicap». Considerazioni datate? Nel dicembre 2011, quando nella nazionale di rugby ha esordito il primo “meticcio italiano”, David Odiete, in Federazione hanno sospirato: «Meno male, così non dobbiamo più andare a prendere i “neri” da altri Paesi». Quando, anche, nello sport, la finiremo di giudicare un uomo dal colore della pelle, allora sì che questo sarà il Bel Paese.