8 marzo. Quel muro tra le donne che sta finalmente cadendo
Chi ha letto Avvenire, soprattutto chi lo ha fatto nell’ultimo anno, ha “conosciuto” le donne afghane. Nel mondo, nel 2023, le iraniane avevano finalmente conquistato le cronache internazionali, per la ribellione nelle piazze delle giovani generazioni in difesa dell’emancipazione – ma forse è il caso di dire della liberazione – delle ragazze e madri recluse, vessate, mortificate o uccise dal regime. Ebbene, le afghane non avevano e non hanno ancora neppure un riflettore, sprofondate nel silenzio tombale da quando l’Occidente ha abbandonato il Paese e i talebani sono tornati al potere. Due cose ci hanno confermato le loro storie eroiche: per rompere le catene, ogni tipo di catene, servono istruzione e democrazia. Due elementi inscindibili, se democrazia fa rima con libertà.
Istruzione e democrazia sono parole risuonate nella Sala dei Corazzieri al Quirinale, dove il presidente Sergio Mattarella ha riunito le artiste italiane, donne che per affermarsi hanno affrontato “un supplemento di fatica, un di più di impegno, quasi un onere occulto e inspiegabile sulla loro attività – ha detto il capo dello Stato -. Come se a loro fossero richiesti obblighi ulteriori e dovessero continuamente superare esami e giudizi più rigorosi. Che dovessero sempre dimostrare il valore e la capacità espressiva alla base della loro arte”. Eppure il loro lavoro è disponibile al mondo per offrire quella pienezza che solo l’arte può dare, senza distinzione di sesso. Ed è frutto della “rivoluzione silenziosa” (anche questa espressione emersa più volte) che molte donne, o forse tutte (anche inconsapevolmente) stanno portando avanti da secoli. E più la democrazia si afferma, più la rivoluzione diventa efficace e perdurante.
Da “muse, fonte di ispirazione” e dunque esclusivamente “oggetti”, come nota rammaricato Mattarella, hanno continuato a esprimersi con determinazione, ma sempre con una base di preparazione e studio e istruzione, imprescindibili per ogni forma di espressione, compresa quella artistica. Una rivoluzione silenziosa a tratti testarda, a tratti commovente, per lo più consapevole della necessità di quella marcia in più chiesta alle donne da sempre, a dimostrazione che non si può ancora parlare di parità.
Una cosa però si comincia ad abbattere: il muro che ha diviso per secoli donne da donne. Il muro dell’ignoranza voluta da un mondo maschile che le relegava in secondo piano, illudendole dell’importanza esclusiva del loro ruolo di mogli e madri, come se quel ruolo fosse una concessione, come se non fosse un dono di una natura benigna che tanto ha dato all’universo femminile. Quella “marcia in più" che le donne libere non hanno difficoltà di inserire, per non rinunciare alla famiglia, ma per fare della famiglia uno degli elementi della affermazione della loro persona.
Per troppi anni il giudizio divisivo ha separato donne da donne, madri da lavoratrici, da casalinghe da impiegate per il bene comune e soprattutto da artiste. Creando invidie, veleni e inimicizie che tanto danno hanno fatto sotto lo stesso pezzo di universo. Oggi la violenza diffusa è diventata intollerabile, le coercizioni indifendibili, l’affermazione femminile un valore, un premio una consolazione, e il riconoscimento di una genera commozione per tante. La solidarietà delle donne al potere di Aristofane (ricordata da Mattarella) è il segno di una cultura che cresce e si afferma. Un messaggio per le giovani generazioni che hanno – se vogliono – un accesso più facile al sapere. E che solo la cultura, l’approfondimento, l’umiltà e la voglia di apprendere e di condividere, può consolidare.