Gas serra. C'è un messaggio di speranza nel rapporto dell'Onu sul clima
La buona notizia è che siamo ancora in tempo: il sesto rapporto dell’IPCC (AR6, ndr), il documento più importante al mondo prodotto negli ultimi anni per inquadrare lo stato del clima, non è un elenco di prospettive apocalittiche. AR6 afferma che le opzioni per ridurre le emissioni di gas serra sono «molteplici, fattibili ed efficaci, e sono disponibili ora». Nonostante il rapporto illustri la crescente gravità degli impatti causati dai cambiamenti climatici, finalmente descrive anche aspetti positivi dell’azione umana per frenare gli effetti del riscaldamento globale. E disegna una grande prospettiva attraverso le parole di Hoesung Lee, presidente dell'IPCC: « L'integrazione di un'azione climatica efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, ma fornirà anche benefici più ampi: questo rapporto sottolinea l'urgenza di intraprendere azioni più ambiziose».
Quali sono quindi queste azioni? A che cosa devono dedicarsi i governi del mondo? E c’è qualcosa di utile che potremmo fare come singoli individui? Il 19 marzo scorso a Interlaken, in Svizzera, è stato approvato il rapporto scientifico sul clima del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite. Il report AR6 nasce dall’analisi delle principali pubblicazioni scientifiche in materia. « L’esito del rapporto, come è facile presumere, non è stato positivo - spiega ad “Avvenire” Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia - del resto stiamo assistendo a fenomeni estremi o anomali sempre più numerosi e intensi. La situazione è certamente peggiore di quella che emergeva dal precedente Rapporto IPCC del 2014, cioè prima dell’Accordo di Parigi. L’IPCC usa parole sempre più chiare per dire che siamo in codice rosso, abbiamo modificato il clima, ma possiamo ancora agire per scongiurare lo stravolgimento del Pianeta».
La stella polare dell’azione complessiva dell’uomo nel contrasto ai cambiamenti climatici è limitare il riscaldamento globale a 1,5° entro il 2100: al momento, questo parametro punta a +2,8 gradi. Che cosa bisognerebbe fare, allora? In generale, secondo l’IPCC, ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 per raggiungere lo zero netto entro la metà del secolo ed evitare che le temperature globali superino gli 1,5°C di crescita rispetto alla media attuale. Infatti, come spiega il rapporto, «riduzioni profonde, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra porterebbero a un sensibile rallentamento del riscaldamento globale entro circa due decenni». Come frenare la crescita della temperatura? Adottando le energie rinnovabili e abbandonando le fonti fossili: è nella transizione energetica la chiave per frenare il riscaldamento globale. In cifre, per raggiungere gli obiettivi di riduzione indicati dall’IPCC in AR6, non dovremmo utilizzare il 60% delle riserve di petrolio e gas che oggi sono state scoperte ma devono ancora essere di fatto estratte da giacimenti sotterranei. E dovremmo fare lo stesso per il 90% delle riserve di carbone.
Quale che sia lo sforzo per frenare la crescita delle emissioni di gas serra, dovremo comunque vivere in un mondo più caldo e con fenomeni meteorologici inediti. È quindi importante ragionare sull’adattamento al nuovo clima tramite una pianificazione flessibile, multisettoriale, inclusiva e a lungo termine di tutte le azioni: progettiamo sapendo che il clima cambierà, ora che possiamo anche immaginare come. «Sono già disponibili opzioni fattibili, efficaci e a basso costo per la mitigazione e l’adattamento, con differenze tra sistemi e regioni», si legge in AR6. Per mitigare il clima e adattarsi a come cambierà, l’IPCC elenca una serie di azioni specifiche che dovrebbero dirigere le politiche climatiche nazionali e locali su generazione e offerta di energia; gestione di terra, cibo, acqua; costruzioni urbane e infrastrutture; salute; società, qualità della vita ed economia. In generale, queste scelte si sostanziano nella riduzione delle attività energivore, nella transizione verso energie rinnovabili e nell’adozione di soluzioni economiche a basso impatto ambientale, nell’implementazione di “nature based solutions” e nella gestione dei fenomeni innescati dal cambiamento climatico (per esempio, migrazioni massive e crescita di eventi atmosferici eccezionali).
AR6 spinge ad agire anche nei sistemi urbani, tra i principali responsabili del global warming. Ci sono diverse attività che riguardano la città: come suggerisce ad esempio Midulla, è necessario incrementare le infrastrutture verdi e blu per lo stoccaggio della C02, attuare pianificazioni inclusive nelle comunità a basso reddito che tengano insieme iniziative ambientali e sociali, sostenere il trasporto pubblico e la mobilità attiva. Secondo l’IPCC, bisogna quindi aumentare gli investimenti a favore dei Paesi in via sviluppo che sono più in ritardo nella transizione e che più scontano gli effetti negativi del climate change. E di conseguenza, in tutte le nazioni del mondo, AR6 afferma che sia importante «dare priorità ai processi di equità, giustizia climatica, giustizia sociale, inclusione». Si tratta di azioni che nascono da politiche, quindi da scelte istituzionali: è tempo di essere più ambiziosi come scrive l’IPCC. «Veniamo da un lungo periodo storico in cui si è cercato di limitare i poteri dei governi per far prevalere gli interessi economici privati - riprende Midulla - oggi i governi devono tornare a limitare gli egoismi e affermare il bene comune, innanzitutto il diritto alla salute della natura e delle persone. E l’IPCC ha indicato un ranking di azioni utili». Tocca ai governi del mondo agire in modo più rapido ed efficace: solo questi possono dare una svolta alla transizione ambientale. Ma il timone della svolta è davvero di esclusiva competenza della politica? Non proprio: soprattutto a causa di “disturbatori”, poco interessati a cambiare la rotta di questo inquinantissimo yacht in cui abbiamo trasformato il Pianeta.
«L’età della pietra finì perché si scoprì l’uso dei metalli, ma allora non c’era la lobby delle pietre - commenta la delegata del WWF - è veramente pazzesco che abbiamo soluzioni tecnologiche senz’altro migliori, che sappiamo che non possiamo continuare a basare la nostra economia sullo spreco e sulle diseguaglianze, eppure si cerca pervicacemente di continuare tutto come prima. È incredibile come chi pone ostacoli riesca a guardare negli occhi i propri figli ». Come spiega l’IPCC in AR6, abbiamo quindi le soluzioni tecnologiche adatte per abbattere le emissioni di anidride carbonica nei settori produttivi più impattanti. Secondo il report, da qui al 2050 potremmo tagliare il 30% delle emissioni di C02 nel settore industriale, il 44% in quello alimentare e quasi il 70% sia nel settore edilizio che nei trasporti su strada. Lo stesso rapporto spiega che tante sono le potenzialità quanti sono i rischi: l’inazione nell’affrontare la crisi climatica significa subire danni ancora peggiori del clima che cambia. È come sapere che arriverà un acquazzone e uscire in strada senza coprirsi o portarsi l’ombrello.
Calandoci in una dimensione più individuale, ci si chiede se questo sesto rapporto dell’IPCC suggerisca anche delle azioni per tutti gli esseri umani di buona volontà. Va premesso che senza la trasformazione del nostro sistema economico - energivoro, consumistico, attratto dall’individualismo estremo e dalla voracità incessante per risorse finite - lo sforzo di ogni persona sarà vano. Ma comunque in AR6 si legge un invito implicito ad eliminare i combustibili fossili da ogni aspetto della nostra vita quotidiana. E ad adottare nel nostro modo di vivere le 5 R dell’economia circolare: ridurre ciò che acquistiamo, riutilizzare ciò che abbiamo, riciclare quello che scartiamo, recuperare ciò che serve, rigenerare ciò che è possibile. E infine, conclude Midulla, “sentiamoci responsabili di fare tutto quello che possiamo, in modo cooperativo e collaborativo: pensate che l’IPCC ci dice che anche questo impegno individuale è un elemento davvero importante nella lotta per il clima”. Come dice esplicitamente il rapporto AR6: le scelte e le azioni messe in atto in questo decennio avranno impatti ora e per migliaia di anni.