Brevetti sui vaccini. C'è un interesse a conciliare utili e licenze obbligatorie
Mentre da noi i risultati della campagna vaccinale diventano pian piano evidenti e cominciamo lentamente ad assaporare il gusto della ripresa della vita, sui media circolano immagini drammatiche da Paesi come l’India che testimoniano come la lotta alla pandemia a livello globale procede a due velocità. Da una parte le nazioni ricche dove più di una persona su quattro è ormai vaccinata, dall’altra quelle povere o emergenti dove il rapporto è uno a cinquecento.
Le enormi diseguaglianze di accesso alle cure e la recente dichiarazione favorevole del presidente americano Biden alla liberalizzazione dei brevetti rendono molto acceso il dibattito tra sostenitori e oppositori della sospensione dei diritti di proprietà sui vaccini, peraltro prevista come extrema ratio in caso di problemi globali come le pandemie da parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (in inglese Wto). Per risolvere il problema dobbiamo tener conto di tre diversi interessi che direttamente o indirettamente ci riguardano. Il primo è quello degli abitanti dei Paesi oggi più in difficoltà che rischiano di pagare i ritardi nella diffusione del vaccino con milioni di morti. Il secondo è quello delle nazioni ad alto reddito che non possono essere sicure di aver voltato pagina finché c’è il rischio che il contatto tra vaccinati e moltissimi contagiati nei Paesi poveri faccia sorgere nuove varianti resistenti ai vaccini rendendo il ciclo della pandemia infinito.
Sarebbe un incubo dover tornare indietro proprio ora che abbiamo appena superato quella comprensibile crisi di nervi che ha portato in piazza molti operatori del commercio duramente colpiti dalle conseguenze della pandemia. Il terzo è quello dell’incentivo alla ricerca farmaceutica che ha bisogno di entrate per coprire i costi e che ci ha portato in un tempo straordinariamente breve la soluzione del vaccino rispetto ad epoche passate anche grazie alla velocità di circolazione delle conoscenze nell’era della globalizzazione (per il vaccino del morbillo ci sono voluti 10 anni, per quello della varicella 35).
È possibile allineare questi tre punti di vista trovando una soluzione di progresso civile che eviti milioni di morti? La risposta è certamente sì, anche se l’idea semplicistica che l’eliminazione della protezione brevettuale sia la panacea è probabilmente fuorviante. Con nostra grande sorpresa potremmo infatti scoprire che esistono già delle regole 'socialiste' di flessibilità della Wto che prevedono la possibilità per i Paesi in situazione di difficoltà di dare a produttori locali la licenza di produrre farmaci coperti da brevetto senza chiedere il permesso ai proprietari del brevetto stesso. Il fatto che queste regole non bastino e non sono bastate nel caso della pandemia dovrebbe farci capire quanto complesso sia in realtà il problema. Per produrre i vaccini (soprattutto quelli di nuova generazione m-Rna) sono necessari trasferimenti di know-how competenze, capacità manifatturiere complesse di cui molti Paesi sono sprovvisti, rendendo di fatto impossibile azionare la flessibilità delle licenze in deroga alla protezione brevettuale. Se vogliamo che i vaccini si diffondano più rapidamente in tutto il mondo nel brevissimo termine è anche ai detentori dei brevetti che dobbiamo chiedere di più.
Andando ad esaminare le loro scelte strategiche volontarie in dettaglio scopriamo che la discriminazione di prezzo (strategia ottimale che insegniamo agli studenti di economia) è ampiamente praticata. Pfizer vende il suo vaccino a Paesi con maggiore disponibilità a pagare e domanda meno sensibile al prezzo a prezzi elevati (19,4 dollari euro a dose agli Stati Uniti, 18,5 dollari a dose all’Unione Europea) mentre ha chiuso un accordo con alcune nazioni africane a 6,75 dollari a dose. In un mondo razionale, potendo riavvolgere il nastro, i Paesi ad alto reddito che hanno garantito con i loro finanziamenti la copertura di gran parte dei costi di ricerca e con i loro contratti a prezzi elevati margini di profitto assolutamente sufficienti a remunerare i costi delle case produttrici dei vaccini avrebbero dovuto, nel loro stesso interesse, imporre anche contratti e quantità fornite estremamente più favorevoli ai Paesi poveri ed emergenti per favorire la lotta alla pandemia ed evitare i colpi di coda di nuove varianti.
Possiamo modulare la soluzione in forme leggermente diverse ma la sostanza è che non è affatto impossibile conciliare l’interesse umanitario che vuole ridurre al minimo la perdita di vite umane, quello 'egoistico' ma non troppo dei Paesi ricchi che vogliono debellare il prima possibile la pandemia entro i loro confini e quello delle case farmaceutiche che hanno bisogno di remunerare costi e rischi della loro attività. Se i cittadini del pianeta potessero scegliere tra due situazioni, una con milioni di morti in più, rischi di durata infinita della pandemia e utili molto elevati delle cause farmaceutiche, un’altra con milioni di morti in meno, rischi molto inferiori e utili robusti ma un po’ meno elevati, credo sceglierebbero all’unanimità la seconda situazione.
La bella notizia è che è possibile fare la seconda scelta, sia oggi in corsa che un domani, speriamo mai, in cui ci trovassimo ad affrontare da principio una nuova emergenza sanitaria. La mossa di Biden potrebbe essere stata da questo punto di vista decisiva aprendo ad un secondo tempo della solidarietà che ha diverse opzioni possibili per poter essere realizzato.