Opinioni

C'è libertà e libertà: grida e atti d'oggi e quelli del 1956 a Budapest invasa

Marco Tarquinio giovedì 5 novembre 2020

Caro direttore,

in questi giorni in diverse piazze di città italiane si è levato il grido: «Libertà, libertà!», accompagnato da vari slogan, con lancio di fumogeni e persino di Molotov, seguiti da varie devastazioni. Ben altro grido di libertà si era levato a Budapest, dal 19 ottobre al 6 novembre del 1956, quando il popolo ungherese scese in piazza contro una delle più grandi potenze della terra: l’Urss. Studenti, operai e contadini uniti in rivolta, provavano a respirare aria di libertà come avevano fatto i loro antenati nel 1848 contro altri oppressori. Ma la libertà conquistata fu cosa di pochi giorni; il mondo non ascoltò i drammatici appelli di Radio Budapest e non diede loro aiuto. Gli ungheresi si trovarono soli, con poche armi, quasi solo fucili, contro tremila carri armati sovietici inviati da Nikita Kruscev. Quella sera a Milano si svolse la prima marcia silenziosa, in centro, lungo via Torino, guidata dall’allora monsignor Giovanni Battista Montini. L’arcivescovo era visibilmente commosso e attorniato da moltissimi milanesi ammutoliti e solidali. Niente preghiere, niente slogan, solo silenzio; unico suono il leggero calpestio dei passi dei manifestanti sul selciato e tra i binari del tram. Inutile fare paragoni con certe violente manifestazioni di questi giorni, ma è bene ricordare sempre chi ha saputo lottare “veramente” per la libertà.

Francesco Ferrari, Merate (Lc)


Le sono grato, caro amico, per questa memoria viva e vividamente condivisa. Budapest 1956. È storia ormai lontana, ma che – oggi come 64 anni fa – ci riguarda profondamente e spiega meglio di qualunque altra argomentazione perché le parole davvero importanti e rilevatrici non possono essere dette a vanvera e le battaglie di libertà sono una cosa splendidamente e terribilmente seria. Alla metà del secolo scorso il mondo non era affatto sordo, e lo sottolinea con efficacia proprio la mite e muta eppure assolutamente solidale ed eloquente manifestazione di Milano guidata dall’allora arcivescovo Montini, il futuro papa Paolo VI. Non tutti si rassegnavano a quel mondo rigidamente diviso in due grandi blocchi contrapposti, frutto degli accordi tra le superpotenze, anche se quell’equilibrio del terrore non sembrava consentire eccezioni. La “cortina di ferro” spaccava infatti a metà l’Europa anche se il Muro di Berlino sarebbe stato alzato solo cinque anni dopo, nell’estate del 1961. Eppure alla fine anche quella stagione cupa e dura ha avuto termine e il ritorno alla libertà fu straordinariamente incruento, pragmatico e al tempo stesso spirituale, sia in senso cristiano che laico. Cito solo tre nomi per spiegarmi: Karol Wojtyla, il nostro san Giovanni Paolo II, Lech Walesa e Vaclav Havel. La libertà, però, non basta a se stessa e a volte non bada neanche a se stessa. Lo vediamo purtroppo proprio in diversi Paesi dell’Europa orientale sospesi sul baratro di nuove-vecchie illibertà apertamente teorizzate come contenuto di una strana forma di democrazia. E per di più, oggi, i blocchi e i muri ci sono ancora, spesso solo nella testa di certe persone che riescono a farli tracimare nella realtà. Ma anche negli slogan e nei gesti di chi, in piazza e altrove, briga per ricostruire le condizioni di una radicale divisione dentro le nostre società e tra i “mondi”, costi quel che costi... Certo, in una democrazia vera e matura bisogna saper sempre rispettare chi manifesta, e soprattutto coloro che in questi giorni lo hanno fatto non solo con civiltà ma anche mantenendo le giuste precauzioni imposte dall’assedio che la pandemia porta alla nostra quotidianità. Tuttavia “quelli delle molotov” e gli altri devastatori che purtroppo vediamo all’opera in Italia e altrove non meritano rispetto e nemmeno indulgenza. Il disagio crescente degli impoveriti e la disperazione dei già poveri sono cose serie e non possono e non devono essere presi in ostaggio e a pretesto da mascalzoni violenti di qualunque colore. Se dovesse accadere ancora, la risposta delle istituzioni dovrà essere tanto saggia quanto decisa. E così quella dell’opinione pubblica.