Opinioni

Domani la grande colletta. C’è bisogno di segni di speranza

Marina Corradi sabato 30 maggio 2009
Il "nuovo" disoccupato, dice il Rap­porto Istat pubblicato pochi giorni fa, «è un uomo fra i 35 e i 54 anni, a­bita al Centro-Nord, è sposato e lavo­rava nell’industria». E il tasso di occu­pazione dei padri di famiglia è calato in un anno di 107 mila unità; che si­gnifica nuove centomila famiglie al­l’improvviso in difficoltà, coi mutui e le bollette addosso, a fine mese, come spade di Damocle. L’idea del Prestito della speranza, fon­dato sulla colletta che si terrà doma­ni in tutte le nostre chiese, è stata par­torita dai vescovi italiani ben prima che l’Istat scattasse questa istantanea della crisi. La Chiesa, con la sua ca­pillare rete di parrocchie e Caritas e associazioni, con il suo stare quoti­diano in mezzo alla gente, s’accorge per prima delle povertà nascenti. So­no le dotazioni delle Caritas locali che finiscono prima del tempo; sono fac­ce nuove, mai viste, un’ombra di ver­gogna addosso, nelle code delle men­se per i poveri; sono il bisogno nasco­sto con pudore dei pensionati, o dei padri di famiglia umiliati – le mani im­provvisamente inutili e vuote. Perché la crisi, se pure gli economisti e i gran­di del mondo annunciano di scorger­ne la fine, colpisce di coda. E sotto quel colpo finiscono accanto ai precari an­che quegli operai o colletti bianchi che fino ad ora avevano davanti a sé un futuro sicuro, e alle spalle una fami­glia. Privati terremoti in tante case in cui si viveva magari modestamente, ma senza ansie. E ora? I figli che van­no a scuola, e il mutuo? Attingere ai risparmi, fare la spesa con un altro sguardo – solo cose essenziali, e l’an­sia, alla cassa, che i soldi non bastino. Sognare magari un colpo di fortuna, giocare i pochi soldi rimasti in tasca al­l’Enalotto – l’unica, povera speranza rimasta. È per queste famiglie, anello debole che la crisi rischia di sgretolare, che domani si domanderà aiuto nelle chiese. Per costituire un Fondo di so­lidarietà di 30 milioni di euro, a ga­ranzia dei prestiti – fino a 180 milioni di euro in tre anni – che le banche a­derenti all’iniziativa erogheranno a fa­miglie che abbiano perso l’unico red­dito, con tre figli a carico oppure con un membro gravemente malato. 500 euro al mese, per due anni, da resti­tuire con calma. Una mano tesa nel momento più buio. Perché anche questo è la Chiesa. An­zi questa è la sua essenza: essere pros­sima a chi è stato abbandonato, affer­mare la speranza quando tutto attor­no sembra volerti spingere alla resa. Perché il mondo ignora e travolge quelli che non stanno al passo, che in­ciampano, che finiscono ai margini. La Chiesa, che è presenza di Cristo fra gli uomini, da sempre mostra ai ca­duti, agli ultimi, la sua tenerezza. Per­ché chi è spinto alle corde come un pugile sconfitto, è portato a dispera­re. E i cristiani non tollerano la dispe­razione. Non tollerano di sentire dire: è finita, non c’è più niente da fare. Ma contro la disperazione – quella pri­vata, quella dei pignoratori alla porta, e delle mattine improvvisamente vuo­te e inutili, senza una fabbrica in cui andare – non bastano le parole. Oc­corre farsi prossimi. Occorre dire: ci sono io, ti aiuto. La carità, è l’eterno mestiere dei cri­stiani. Lo fanno da duemila anni. Da quando Paolo organizzava la questua per i poveri di Gerusalemme, e usava indifferentemente per quel momento sia la parola ' colletta' che ' benedi­zione' e ' liturgia'. Come a dire che quel dare era anch’esso preghiera: la fede e le opere, indissolubilmente le­gate. È lo spirito della colletta di do­mani: famiglie benestanti o almeno tranquille, che guardino al bisogno di famiglie impoverite e spaventate. Per dare, in questa Italia chiassosa, vo­ciante e spesso distratta, un segno contrario: concreto e silenzioso. Un segno di speranza, di cui c’è bisogno.