Editoriale. Alla democrazia serve una buona politica costituzionale
L’“anno delle elezioni” – dall’India all’Europa, dal Giappone agli Stati Uniti – non ha rafforzato la democrazia. È sempre più diffusa la spinta verso forme di potere concentrato e semplificato, ancora più forte, ovviamente, dove le elezioni non ci sono o costituiscono una mera formalità. Verso un potere di tipo “primordiale”, verrebbe da dire, esplicitamente allergico a obblighi, limiti, regole. È noto che secondo San Paolo ogni autorità viene da Dio e tale principio è stato usato nei secoli a giustificazione di tante forme di autoritarismo. Ma con le sue parole San Paolo ha introdotto una fondamentale distinzione tra autorità e possesso: il potere non è una proprietà personale. Chi lo esercita, perciò, deve accettare obblighi, limiti, regole. In Italia, sono andati in questa direzione la decisione della Corte costituzionale sull’autonomia differenziata e le parole con cui il presidente della Repubblica ha spiegato quali siano i compiti cui è tenuto. La decisione della Corte è stata variamente giudicata e sul referendum devono ancora pronunciarsi la Cassazione e, di nuovo, la Corte.
Ma, intanto, il comunicato che anticipa la sentenza non si è limitato a dichiarare incostituzionali aspetti importanti della legge 86 sull’autonomia differenziata. Ha anche richiamato il quadro in cui deve inserirsi e i principi cui deve ispirarsi. Ha ricordato ad esempio «l’unità della Repubblica, la solidarietà tra le Regioni, l’eguaglianza e la garanzia dei diritti dei cittadini, l’equilibrio di bilancio». Ha inoltre sottolineato che il trasferimento di funzioni (non di materie!) «debba avvenire in funzione del bene comune» e «della tutela dei diritti garantiti», rispettando il principio di sussidiarietà – ci sono compiti che devono restare nelle mani dello Stato – e solo se «funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini». Insomma, deve farsi solo se serve. Ha infine restituito al Parlamento, unica espressione legittima di sovranità popolare, il compito di deliberare su una materia che non può essere lasciata a una trattativa tra esecutivi regionali e nazionale.
A sua volta il presidente Mattarella ha descritto se stesso come arbitro e garante della divisione tra i poteri di Governo, Parlamento e magistratura, facendo l’esempio di leggi che considera sbagliate ma che egli promulga perché glielo impone la sua funzione. L’arbitro non è neutrale: è dalla parte delle regole che rispetta lui per primo e che fa rispettare agli altri. Parlare di checks and balances (controlli ed equilibri), come ha fatto Mattarella, in tempi di crisi della democrazia significa prendere concretamente posizione in sua difesa. Il conflitto quotidiano, insistito, esasperato tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario logora, infatti, il principio fondamentale della loro divisione, spingendo l’opinione pubblica verso l’idea che è meglio concentrarli nelle stesse mani.
Corte costituzionale e Presidente della Repubblica hanno fatto buona politica costituzionale. Ma non bisogna lasciarli soli, il che non significa esercitare sull’una o sull’altro indebite pressioni. Non spetta al capo dello Stato fermare leggi che considera sbagliate, devono essere altri a meditare su questo severo giudizio e fermarle con i mezzi legittimi e adeguati. Occorre sostenere l’opera di Corte e Presidente sviluppando un qualificato dibattito su questioni cruciali in cui si intrecciano strettamente aspetti giuridico-istituzionali ed etico-politici. Come hanno fatto molti costituzionalisti nelle scorse settimane sull’autonomia differenziata. Ma non basta: tutta la società civile è chiamata a impegnarsi per promuovere la democrazia, tema non a caso al centro dell’ultima Settimana sociale dei cattolici in Italia, e sollevando alcuni interrogativi, come ha fatto la Chiesa italiana, su una legge che rischiava di «minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni che è presidio al principio di unità della Repubblica».
L’assalto alla democrazia è destinato a crescere di intensità. Abbiamo creduto che un mercato svincolato da troppe regole l’avrebbe rafforzata, mentre invece ha fatto prevalere di nuovo l’antico principio che il forte ha diritto ad opprimere il debole. Ha diritto anche a manipolare la gente comune, come fanno i Signori dei Social che ci spingono allo scontro con il nostro simile perché ogni aggressione online è, per loro, guadagno. Tramonta il sistema-mondo occidentale descritto da Immanuel Wallerstein, fondato per secoli sull’intreccio tra umanesimo e scienza e su una politica che tiene a bada l’economia. Quanto sta avvenendo negli Stati Uniti fa pensare che stiamo assistendo ad un passaggio storico. Parole come bene comune e diritti umani, da una parte, esperienza e competenza dall’altra perdono di valore se si affida la salute pubblica a chi non crede nella medicina o l’amministrazione della giustizia a chi ha infranto la legge. Spetta all’Europa difendere il suo progetto di modernità fondato su umanesimo e scienza, non contribuire alla sua demolizione inseguendo miti sovranisti e antidemocratici. In Italia, la Costituzione si conferma un riferimento vitale per difendere la democrazia: ispirandoci a essa, possiamo contribuire tutti a una buona politica costituzionale.