Caro direttore,approfitto della tua risposta di venerdì 22 aprile a un lettore di Frascati per proporti alcune riflessioni a freddo sulla mia intervista al figlio di Totò Riina che aveva provocato un ampio dibattito anche su “Avvenire”.La prima riflessione è e resta di stupore. Tutti i più grandi mafiosi o camorristi (Liggio, Sindona, Piromalli, Cutolo, Buscetta, Ciancimino padre) e i maggiori terroristi non pentiti sono stati negli anni intervistati da grandi giornalisti (Enzo Biagi, Sergio Zavoli, Jo Marrazzo e altri) senza che nessuno battesse ciglio. Erano tutte interviste più aggressive della mia? E le calunnie di cui Ciancimino figlio ha inondato lo studio di Michele Santoro, nell’indifferenza quasi generale? Il lettore faccia una ricerca su internet e maturi, magari, un’opinione più compiuta.La seconda riflessione è più profonda e riguarda le ragioni per cui ieri grandi giornalisti e oggi io abbiamo deciso di intervistare il Male. Quando ho deciso di incontrare Salvo Riina avevo letto le bozze del suo libro e avevo detto ai miei colleghi: si tratta di un mafioso a 24 carati. Lo stesso puntualmente apparso nell’intervista. Ma il nostro dovere di cronisti è rivelare il Male o nasconderlo? Per la prima volta il pubblico ha potuto conoscere una famiglia mafiosa vista dall’interno, con la sua incrollabile fede nei valori mafiosi della “famiglia”, superiori a ogni omicidio e a ogni strage. Che cosa dovevo fare di più che contestargli ogni omissione e mostrargli le stragi compiute da suo padre registrandone l’assoluta indifferenza? Che cosa se non invitare a commentare l’intervista il meraviglioso figlio di Vito Schifani, uno degli agenti di scorta a Falcone, il ministro dell’Interno, il presidente dell’Anticorruzione, i giovani che si battono contro il pizzo? Dopo quella trasmissione il pubblico sa più o meno della nuova mafia?È vero, caro direttore, come tu scrivi, che quella di Riina jr è stata una «professione di fede mafiosa», un «messaggio-annuncio» recapitato agli altri «figli» della mafia. Ma quell’annuncio è stato visto e capito da tanta gente onesta che altrimenti sarebbe rimasta convinta che la mafia è soltanto quella sepolta nelle celle del 41 bis. Non a caso Maria Falcone, sorella di Giovanni, ha osservato che da una «cosa brutta» è nata una «cosa buona», («
Ex malo bonum», diceva Sant’Agostino) cioè la consapevolezza di tanti che la lotta alla mafia non può finire ed è innanzitutto una lotta civile e culturale. Soprattutto dopo che le nostre trasmissioni hanno rivelato quanta ambiguità ci sia in una parte non trascurabile di quelli che ancora oggi Leonardo Sciascia chiamerebbe «i professionisti dell’antimafia». Grazie e tanti cari saluti.
Bruno Vespa Grazie a te, caro Bruno, per questa intensa e appassionata reazione al dialogo tra due nostri lettori e il sottoscritto convinti che quell’intervista per Riina jr sia stata più di un puro «fatto giornalistico». Non mi azzardo a dire a un collega di gran valore come te che cosa si sarebbe potuto fare “di più”. So che cosa tutti noi, in ogni contesto, non possiamo fare “di meno”: reagire a ogni parola e gesto e immagine di mafia con parole e gesti e immagini di onesta cittadinanza. Cioè con vita buona e buon mestiere, senza paura di passare per professionisti dell’antimafia. «Vinci con il bene il male» (Rm 12) sta scritto. Per questo, davanti a ogni manifestazione del male mafioso, è bene che lo scandalo comunque avvenga. Detto ciò, rassegnati: ancora per un bel po’ a te non si perdonerà quello che ad altri è stato (o verrà) perdonato. E ho il sospetto che ormai quando, e se, succederà, non ne sarai poi così contento. (Marco Tarquinio)