La grande transizione/6. Lo spirito delle differenze
Una delle tendenze più radicali dell’umanesimo immunitario del capitalismo contemporaneo è il bisogno di controllare, arginare, normalizzare le motivazioni più profonde degli esseri umani, soprattutto quelle intrinseche dove hanno le radici la nostra gratuità e libertà. Quando, infatti, attiviamo le nostre passioni, gli ideali, il nostro spirito, accade che i nostri comportamenti sfuggano al controllo delle organizzazioni. Le nostre azioni diventano imprevedibili perché libere, e quindi mettono in crisi i protocolli e le job descriptions (le catalogazioni del lavoro). Soprattutto mettono in crisi il management che, per compito e natura, deve rendere controllabile e prevedibile il comportamento organizzativo. Per poter gestire molte persone diverse e orientarle tutte verso gli obiettivi semplici dell’impresa, c’è bisogno di operare una forte omologazione e standardizzazione dei comportamenti, che così diventano incapaci di creatività (che tutti, a parole, vorrebbero). Le motivazioni intrinseche sono, infatti, quelle più potenti e quindi le più destabilizzanti. Ci sganciano dal calcolo costi-benefici, e diventiamo capaci di fare cose solo per la felicità intrinseca dell’azione. Non avremmo ricerca scientifica, poesia, molta arte, spiritualità vera, senza motivazioni intrinseche, come non avremmo molte imprese, comunità e organizzazioni che nascono dalle passioni e dagli ideali dei fondatori, e vivono perché e fino a quando qualcuno continua a lavorare non solo per denaro. Tutta la vera creatività ha un bisogno essenziale di motivazioni intrinseche. Ma – lo vediamo tragicamente tutti i giorni – le motivazioni intrinseche sono anche alla radice dei comportamenti peggiori degli esseri umani.
Ecco allora che lo spirito moderno, in particolare lo spirito economico, per paura degli effetti potenzialmente destabilizzanti delle grandi motivazioni umane, ha scelto di accontentarsi delle sole motivazioni strumentali o estrinseche. Abbiamo così lasciato alla democrazia la gestione del gioco pubblico delle differenze e delle identità, ma le abbiamo espulse dalle imprese. E così la nostra cultura organizzativa cerca di trasformare in incentivi tutte le varie motivazioni umane, di ridurre i tanti "perché" a un unico, semplicissimo, "perché". Abbiamo così diminuito le ferite (la vulnerabilità) dentro le nostre imprese, ma abbiamo ridotto anche le benedizioni (il benessere). L’incentivo è diventato il grande strumento per controllare e gestire persone "ridotte" e depotenziate nelle loro tante motivazioni, per poterle così allineare con gli obiettivi delle organizzazioni (l’incentivus era lo strumento a fiato che intonava gli strumenti dell’orchestra, la tromba che incitava la truppa alla battaglia, il flauto dell’incantatore di serpenti). Così l’economia e le scienze manageriali hanno finito per accontentarsi delle motivazioni meno potenti degli umani - anche quando cercano di strumentalizzarle promettendo ai neo-assunti un paradiso che non possono né vogliono dare. È anche questo un prezzo della modernità.
L’operazione di livellamento motivazionale è pericolosa ovunque, perché "l’uomo a una sola dimensione" non funziona bene da nessuna parte, e soprattutto non è felice. Ma dove l’espulsione delle motivazioni più profonde, generative e libere è fatale, è in quelle organizzazioni nate e alimentate da ideali, da carismi, da passioni – le cosiddette OMI (Organizzazioni a movente ideale). Queste organizzazioni "diverse" hanno un bisogno fondamentale della presenza di una quota, anche piccola, di lavoratori, dirigenti, fondatori con motivazioni intrinseche, dotati cioè di un "codice genetico" diverso da quello ipotizzato e implementato dalla teoria manageriale dominante. Queste persone operano nelle imprese sociali e civili, nelle comunità religiose, in molte Ong, nei movimenti spirituali e culturali, nel mondo dell’ambientalismo, del consumo critico, dei diritti umani; ma non di rado le ritroviamo anche tra i fondatori d’imprese familiari, e in molta di quella economia "normale" fatta di artigiani, piccoli imprenditori, cooperative, finanza etica e territoriale.
Non avremmo queste organizzazioni e comunità senza la presenza di queste persone "lievito", che sono creative, generative e spesso destabilizzanti dell’ordine costituito perché "mosse da dentro", perché portatrici di un "carisma" che le spinge ad agire obbedendo al loro daimon. Questi lavoratori con motivazioni intrinseche hanno due principali note motivazionali. Da una parte sono poco motivati dagli incentivi economici della teoria manageriale, rispondono poco o niente al suono esterno del flauto incantatore, perché amano udire altre melodie interne. Al tempo stesso, sono infinitamente sensibili alle dimensioni ideali dell’organizzazione che hanno fondato o nella quale lavorano per ragioni non solo economiche ma identitarie, ideali, vocazionali. La gestione delle persone con motivazioni intrinseche è cruciale quando queste organizzazioni attraversano momenti di crisi e di conflitto, dovuti, ad esempio, a un cambiamento generazionale o di leadership, o alla morte e successione del fondatore. Questi momenti – delicati in tutte le organizzazioni – sono decisivi per le OMI, perché l’errore più tipico, e troppo comune, è non capire proprio le istanze e le proteste che provengono dai membri più motivati. Se, infatti, chi gestisce o accompagna da consulente tali OMI non riconosce il valore di queste motivazioni più profonde e diverse dagli incentivi, non solo non ottiene l’obiettivo sperato, ma continua ad aggravare la crisi di queste persone e dell’organizzazione.
Durante le crisi di qualità ideale, in genere chi protesta per primo è colui che più è interessato a questa qualità che si sta perdendo. Ma se i dirigenti e i responsabili interpretano questo tipo di protesta semplicemente come un costo, e quindi non l’accolgono e la respingono, i primi che se vanno sono proprio i migliori – come ho cercato di mostrare in alcuni studi realizzati insieme ad Alessandra Smerilli. Essendo queste persone poco sensibili agli incentivi e moltissimo alle dimensioni ideali-valoriali, sono disposte a dare tutto ben oltre il contratto finché "ne vale la pena", finché sono vivi e riconosciuti quei valori nei quali hanno investito molto. Esistono persone, anche dentro le imprese, che attribuiscono un valore talmente alto ai valori simbolici ed etici che ispirano il loro lavoro, per i quali sono disposti a fare (quasi) tutto. Ma non appena si accorgono che quella data organizzazione sta diventando (o è diventata) altro, tutta la ricompensa intrinseca che traevano da quel lavoro-attività si riduce drasticamente, fino in certi casi ad annullarsi (o a diventare negativa). È anche questa una delle espressioni dell’antica intuizione (che risale almeno a San Francesco) che la gratuità vera non ha un prezzo zero (gratis), ma un prezzo infinito.
La gestione delle crisi nelle OMI è una vera e propria arte, che richiede soprattutto nei responsabili la capacità di distinguere i tipi di disagio e di protesta, e saper cogliere e valorizzare la protesta che sale soprattutto da chi è custode e portatore dei valori ideali dell’organizzazione. L’ideologia neo-manageriale, invece, sempre più appiattita su un solo registro motivazionale, non ha le categorie per comprendere i diversi tipi di protesta; e così non sa riconoscere che dietro una minaccia di abbandono si può nascondere un grido d’amore. Le persone con motivazioni intrinseche hanno in genere anche una grande resilienza, una grande fortezza nelle avversità. Riescono a durare a lungo in una condizione di protesta, preferendo di restare pur protestando (Albert Hirschman definisce leale chi protesta e non esce). La persona con forte motivazione intrinseca esce e abbandona solo quando perde la speranza che l’organizzazione possa recuperare gli ideali perduti, e a volte la stessa uscita diventa l’ultimo messaggio estremo per suscitare un ravvedimento nei dirigenti. Si comprende quindi che una OMI è saggia quando sa trattenere le persone leali, dando diritto di cittadinanza alla loro protesta, valorizzandola e non considerarla come un costo o un attrito.
La biodiversità dentro le organizzazioni si sta riducendo decisamente, e il livellamento motivazionale produce disagio e malessere crescente anche nel cuore del capitalismo. Chi però ama e vive in comunità e organizzazioni a movente ideale deve difendere e salvaguardare le motivazioni intrinseche oggi minacciate di estinzione. Forse si può resistere per anni dentro una multinazionale senza dar spazio a motivazioni ideali, ma le OMI muoiono presto se riduciamo tutte le nostre passioni al triste incentivo. Nelle persone, in tutte le persone, le motivazioni sono molte, ambivalenti e intrecciate tra di loro. La cultura e gli strumenti della gestione possono favorire l’emergere e la sostenibilità delle motivazioni più profonde e ideali, o aumentare il cinismo organizzativo dove ciascuno si accontenta degli incentivi e smette di chiedere troppo all’organizzazione, e così finisce presto per non chiederle più niente. Usciremo migliori da questa grande transizione se creeremo organizzazioni più bio-diversificate, meno livellate nelle motivazioni, se saremo capaci di dar spazio alla persona tutta intera. Organizzazioni abitate da lavoratori un po’ meno controllabili e gestibili, ma più creativi, più felici, più umani.l.bruni@lumsa.it