Monti di Pietà e Monti Frumentari. Non amare il mondo ma aver cura dell'umano
Il Rinascimento, un’età dell’oro dell’Italia, non è stato solo il tempo di Michelangelo, Leonardo, Leon Battista Alberti, Pico della Mirandola, Machiavelli e i Medici. Fu un’età straordinaria anche per l’opera dei molti francescani costruttori dei Monti di Pietà. Senza considerare questo umanesimo carismatico non capiamo l’Italia moderna e l’Europa, e non capiamo cosa è stata la Chiesa cattolica tra Medioevo e modernità. Queste diverse istituzioni di credito hanno cambiato radicalmente la finanza italiana dalla metà del Quattrocento fino almeno all’Ottocento, quando quei semi fiorirono in Casse rurali e Casse di risparmio. La banca in Italia è nata plurale, e non solo per profitto.
Soffermiamoci sulle immagini dei Monti di Pietà. Innanzitutto la pietà, cioè l’immagine del Cristo morto tra le braccia di Maria. Perché la pietà come immagine degli edifici, cappelle, stendardi dei Monti di Pietà? Quell’immagine era già usata per enti di assistenza e per gli ospedali medioevali. Simboleggiava uno dei momenti centrali della fede cristiana, amatissimo dalla gente che in quei secoli conosceva della vita soprattutto il dolore, specialmente quello delle madri e delle donne per la morte di tanti, troppi, figli e mariti. Era rappresentata in quasi tutte le chiese e dai più grandi artisti (Tiziano, Rubens, Michelangelo). Un incontro tra la pietà cristiana e quella ereditata dai romani (il “pio” Enea), che la legava soprattutto alla cura dei figli nei confronti dei genitori anziani. Il suo simbolo nelle icone era il pellicano o la cicogna: la civiltà romana chiamò lex ciconiaria la legge che obbligava i figli a prendersi cura dei genitori, poiché la leggenda voleva che le cicogne lo facessero. La pietà popolare è sempre eccedente rispetto alle teologie e ai dogmi delle religioni.
In quei secoli, quella scena centrale della fede era dunque tradotta come amore-pietà verso il prossimo, in particolare per coloro che soffrivano: «L’altro piangëa, sì che di pietade io venni men così com’io morisse» (Dante, Inferno, 5). La teologia diventava immediatamente antropologia, lo stesso cristianesimo rivelava il volto di Dio insieme al volto del povero. Quei credenti, interessati molto più di noi al paradiso e all’inferno, erano capaci di dare il nome di “pietà” all’abbraccio più intimo tra l’uomo-Dio e sua Madre. Si contemplava il mistero divino e si amava il mistero dell’uomo. In questo il Medioevo fu tutta luce. Per i francescani, maestri di pietà e di carità, fu così naturale vedere nella nascita di quei Monti diversi un frutto della stessa radice di pietà e di misericordia – pietà, carità e misericordia, tre parole diverse per la teologia, profondamente intrecciate e sovrapposte nella pietà popolare.
Stupenda è l’effige più popolare di Bernardino da Feltre, che lo rappresenta accanto a un Monte e con in mano due drappi con su due frasi del Nuovo Testamento (in latino). La prima: «Non amate il mondo» (1 Gv 2,15), la seconda: «Abbi cura di lui» (Lc 10,35). Due frasi che insieme dicono l’umanesimo dei Monti di Pietà. Non amavano né seguivano la logica del mondo (che in Giovanni è simbolo del male), eppure se ne prendevano cura. «Abbi cura di lui» è infatti la frase con cui si conclude la parabola del Buon Samaritano, quando egli affida l’uomo mezzo morto all’albergatore: «Abbi cura di lui, e ciò che spenderai in più te lo pagherò al mio ritorno». Una frase perfetta per il Monte, perché lì il Vangelo di Luca associa un imprenditore (l’albergatore) all’atto di pietà più bello del Nuovo Testamento. Il samaritano non chiede all’albergatore di ospitare gratis la vittima - secondo una certa logica avrebbe anche potuto e dovuto farlo. No: riconosce un giusto prezzo da pagare a chi faceva il suo lavoro, e quei suoi “due denari” fanno riconciliare la pietà con l’economia – se gli unici denari dei Vangeli fossero stati i trenta di Giuda, sarebbe stato davvero un pessimo messaggio per tutti coloro che devono usare denari per vivere e far vivere. Forse non era intenzionale, ma in quelle due frasi del vessillo c’è anche il distillato della battaglia dei francescani a favore del pagamento di un tasso di interesse sui prestiti del Monte.
Altri dettagli arricchiscono quella prima stagione sorgiva della finanza solidale. Il giorno che dopo un lungo periodo di preparazione – spesso il processo iniziava con le predicazioni del frate in tempo di Quaresima – il Banco finalmente veniva inaugurato, la comunità faceva una processione dalla chiesa francescana fino alla sede del banco. Con ragazze che inneggiavano e con i bambini vestiti di bianco con in mano lo stendardo del Monte. Splendido. Pietro Avogadro ce ne descrive una, svoltasi a Verona nel 1490: «Viene portata in processione, al suono di trombe e di flauti, verso il Monte di Pietà, un’immagine realizzata con tale perizia artistica e tanto mirabile genio da esser stimata senz’altro tra i capolavori più rari. L’opera si presentava con una base ampia formata da tele. I lati contenevano i simboli di tutte le virtù, di mirabile splendore: al centro la Pietà, il corpo inanimato di Gesù tra le braccia della madre, poi l’apostolo prediletto. Amministravano questo rito così sacro trenta uomini addetti al culto, che, trasportando l’immagine dallo stesso Monte, mostravano questo momento altamente sacro, con la più grande edificazione di tutti». Processioni sacre, belle e solenni come quelle in onore del Santo patrono, della Madonna e del Corpus Domini. Per quei francescani e quel popolo una processione per fondare una banca non era meno sacra delle altre funzioni – non dimentichiamo che nel Medioevo il primo rappresentante di Cristo nel mondo non era il Papa: era il povero. Anche una banca diversa può diventare un pezzo di paradiso. Le processioni per celebrare l’Eucarestia e i Santi che non sono alternate da processioni che celebrano i poveri, troppo spesso finiscono per perdere il profumo del Vangelo. Anche questo dice la forza profetica del carisma di Francesco.
Tutto ciò nel Centro-Nord. E nel Sud? Nel Regno di Napoli i Monti ebbero la più grande diffusione soprattutto a partire dall’inizio del Seicento (sebbene il Monte de l’Aquila fu tra i primi, nel 1466), anche in seguito a un dura e lunga crisi economica. Con due caratteristiche: non nascevano sempre né soprattutto dai francescani né da ecclesiastici, ed erano quasi tutti a prestito gratuito, nonostante la Chiesa avesse reso lecito il tasso d’interesse con la Bolla di Leone X del 1515 sui Monti di Pietà. Essendo in genere piccole istituzioni, quasi sempre ospitate nel Convento e nelle parrocchie, non avevano grandi spese, e spesso erano sostenute da istituzioni filantropiche. Questa “gratuità” assoluta non aiutò la durata e la crescita dei Monti di Pietà nel Sud, anzi la complicò. Scriveva Antonio Genovesi: «Intorno al principio del secolo 16° cominciarono in alcuni luoghi d’Italia i monti detti di Pietà... Alcuni uomini amanti dell’umanità per isbarbicare queste sanguinarie usure stabilirono de’ luoghi privati con poco di fondo, ne’ quali si prestavano le piccole somme gratuitamente, e le più grandi con non molto interesse. Questi monti furono da prima amministrati con iscrupolosa fedeltà, siccome, sono tutt’i primi stabilimenti umani fatti nel fervore della virtù» (“Lezioni di Economia civile”, 1767).
Ma nel Sud, data anche la sua struttura economico-produttiva, si svilupparono soprattutto i Monti Frumentari (o monti granatici, o monti nummari in Sardegna, e con nomi simili anche in altri Paesi cattolici d’Europa). Erano istituzioni di credito rurale, che crebbero anche grazie al grande impulso dato da papa Orsini (Benedetto XIII), nato a Gravina di Puglia (il primo lo fondò quando era ancora vescovo di Benevento, nel 1678). Anche il francescano lucerino san Francesco Antonio Fasani (1681 -1742), si dedicò alla nascita del credito per i poveri. Questo frumento fu onorato con la stessa cura della manna e del pane eucaristico, perché, anche questo pane faceva vivere.
I Monti Frumentari usavano il frumento come numerario. A volte nascevano come enti complementari ai Monti di Pietà (che erogavano credito monetario). Erano infatti molte le forme che prese la pietà creditizia in Italia in quel rinascimento civile ed economico. Tra queste i Monti delle doti, Monti delle donzelle o Monti matrimoniali che nascevano con lo scopo principale di garantire una dote alle ragazze più povere.
Nella seconda metà del Settecento nel Regno di Napoli si contavano oltre 500 Monti Frumentari, incoraggiati e sostenuti dai principali teorici dell’Economia civile (A. Broggia, G.M. Galanti, J.B. Jannucci, D. Terlizzi de Feudis). I Monti frumentari non erano a titolo gratuito, anche perché l’interesse in natura era sempre stato meno controverso dell’interesse in moneta. I contadini prendevano il grano “a raso” (del contenitore) e lo restituivano “a colmo”, e la differenza tra le due quantità era l’interesse, stimato in media attorno al 5%.
I Monti Frumentari si svilupparono come superamento di un contratto agrario, chiamato “alla voce”, molto diffuso nel Sud già dal Medioevo. Questo contratto era per i contadini particolarmente vessatorio e usuraio, e alimentava forme di parassitismo e di sfruttamento nei confronti dei lavoratori della terra. Fu Trojano Odazi, allievo di Genovesi e curatore dell’edizione milanese delle sue “Lezioni” (1768), a dimostrare che il contratto “alla voce” era un contratto capestro. Infatti in quei contratti il mercante, che possedeva preziosa liquidità, anticipava al contadino denaro al momento della semina. Questi si impegnava a consegnare al mercante un tot di frumento (o di olio, vino, formaggio) nel momento del raccolto. Nel contratto non era stabilito il prezzo, perché sarebbe stato quello “alla voce”, cioè quello annunciato nella piazza (quelle più importanti erano Crotone, Gallipoli, Potenza) nel tempo del raccolto. Ma, ovviamente, il prezzo di un prodotto nel momento del raccolto è basso, essendoci un eccesso di offerta; e così su quell’anticipo in denaro ricevuto il contadino finiva per pagare un interesse attorno al 100% (a semestre).
L’osservazione di queste ingiustizie portò quei francescani, vescovi, e uomini di buona volontà a imitare i profeti: vedere, denunciare, agire.
Oggi nuovi “contratti alla voce” non mancano nella nostra finanza post-moderna. Diversamente dai secoli passati questi contratti vessatori non sono visibili a occhio nudo. Ma ci sono. Ciò che invece manca sono nuovi francescani, vescovi e uomini e donne di buona volontà che creino nuovi Monti Frumentari. Alcuni ce ne sono, ma sono troppo pochi.
Uno dei luoghi che ospiteranno, dal 19 al 21 novembre, “Economy of Francesco”, sarà il vecchio Monte Frumentario di Assisi. Un segno, una speranza, ancora la stessa chiamata: «Abbi cura di lui».
l.bruni@lumsa.it
(2 – continua)