Opinioni

Brenda, i nostri sguardi. Per la madre era solo Wendell «Ora ridatemi mio figlio»

Marina Corradi venerdì 27 novembre 2009
Ma Brenda, da dove veniva? Da settimane veniamo abbondantemente edotti circa le amicizie e le tariffe del transessuale al centro del caso Marrazzo e ora morto, o forse ucciso. Apprendiamo che sul suo computer sono stati trovati 130 gigabyte di video – e speriamo che non ce li vogliano raccontare tutti. Le foto di Brenda e delle sue amiche sono ovunque, straripanti di una femminilità caricaturale che contraddice quelle spalle inesorabilmente mascoline, quelle mani troppo grandi. Sappiamo tutto. Eppure, Brenda da dove veniva?Un servizio del Corriere della Sera dal Brasile allarga lo sguardo al "prima" di un transessuale di successo, di uno conteso a migliaia di euro in una certa Roma-bene. Dunque Wendell Mendes era nato nel 1978 in una favela di Belem, da una madre diciassettenne e da un padre che subito sparisce. La madre si rifà una vita, Wendell, che a quindici anni sa già di essere omosessuale, fugge e finisce sul marciapiedi. Il resto, gli ormoni, il seno finto, le prestazioni per poche decine di euro a clienti che chiamava «gli schifosi» e volentieri derubava, viene a catena. Una china apparentemente inesorabile. Le strade di San Paolo, e poi di Roma.E il resto ormai lo conosciamo. Il vizio, dicono, di filmare i clienti per ricattarli. L’alcool, le risse coi compagni della strada. Una sera al pronto soccorso si massacra le braccia con delle forbici. Torna a casa, strafatto di psicofarmaci e alcool, fino alla sera in cui completamente intontito soffoca nel fumo di un incendio scoppiato chissà come. Muore come un animale preso in trappola.E questa dunque è la storia di Brenda, non troppo dissimile, tranne che per il finale, da quella di tanti altri come lui che incrociamo nelle nostre strade la notte, sotto ai lampioni. Una vita di profonda, accanita miseria, e non solo materiale. Il padre mai conosciuto e quegli uomini che Wendell cerca, eppure disprezza. Quel corpo da trasformare violentemente, da gonfiare a forza con un calvario di operazioni chirurgiche. La vita da clandestino, sotto un nome fasullo. Notti ad aspettare, sui viali, occhi sempre diversi, ma che ti guardano sempre allo stesso modo. E Wendell o Brenda, donna, uomo, chissà; comunque sia, per quelli che incontra, un singolare giocattolo, da usare di nascosto. «Beveva sempre», dice chi lo conosceva. Forse perché certi ricordi, tutti assieme, da lucidi sono insopportabili.E dunque Brenda, di cui da settimane si parla con ironia o volgarità o sdegno, ma quasi mai con pietà, si chiamava Wendell, ed era povero di tutto; prima di tutto di facce vicine e buone. Un povero caduto dentro una feroce illusione, di cui quella femminilità inventata era la maschera. Adesso sui giornali pubblicano le sue foto migliori, in cui ride, e sembra felice. E nella ossessiva riproposizione mediatica, Brenda e i suoi amici diventano quasi il modello di una trasgressione nuova, che viene implicitamente proposta a chi sta a guardare. Il politico, l’avvocato, l’attore vanno coi trans: è di moda, "così fan tutti". E tutto questo appare moderno e "liberato". L’ultimo gioco. Si discute ridendo fra colleghi in pausa pranzo: ma di un trans, si dice "lei", o "lui"? L’unica che non ha dubbi è la madre, in Brasile. «Ridatemi il corpo di mio figlio», ha detto soltanto. Quel figlio senza padre nato in una favela, quel figlio inquieto e in fuga. Wendell si chiamava quel figlio, ed era un uomo. Anche se per certi ricchi di San Paolo o di Roma era una fantastica bambola. E se oggi nelle foto lo mostrano con le gonfie labbra truccate sorridenti, non credeteci. È solo, sulla storia del ragazzo di Belem, l’ultima bugia.