Botta e risposta. «Braccianti, in Calabria si è già fatto tanto». Ma si faccia meglio
Gentile direttore,
Antonio Maria Mira, nel servizio pubblicato su “Avvenire” del 23 dicembre 2017 e dedicato alla baraccopoli di San Ferdinando, descrive fedelmente e con ricchezza di particolari le condizioni di vita dei migranti nella baraccopoli e nelle campagne della Piana. Una descrizione che restituisce anche gli afrori delle baracche, la ripugnanza della macellazione islamica dei caprini, le molestie olfattive del materiale immondo accumulato lungo i bordi del campo, il languore umiliato dei molti sguardi segnati dalla delusione e dallo sconforto.
Concludendo la lettura dell’articolo, si viene assaliti da uno sgomento accorato e dalla convinzione che, davanti al degrado, tutti siano rimasti indifferenti, distanti, o abbiano girato lo sguardo infastiditi da quella umanità cenciosa. Desidero, rispettosamente, far notare che la presenza dei migranti, peraltro funzionale alla sopravvivenza di un’agricoltura ridotta alla insignificanza, si concentra, soprattutto, nell’area di Rosarno-San Ferdinando; un’area tradizionalmente deprivata e attraversata da gravi fenomeni di lacerazione sociale e priva di tutti quei servizi e agenzie socioeducative capaci di assorbire e attenuare gli urti sociali, anche quelli meno significativi, legati al fenomeno. Un fenomeno molto complesso a causa delle sue dimensioni, delle attese e del vissuto umano dei migranti, intriso di sopraffazione e di dolore. E tuttavia in molti hanno reagito con generosità: Chiesa, associazioni, volontari, educatori, medici, soccorritori non si sono tirati indietro e hanno garantito la loro vicinanza, umana e materiale, offrendo sollievo e asciugando molte lacrime. Una generosità fatta propria anche dallo Stato che è intervenuto interrompendo, nell’area, un percorso di degrado e costruendo una sinergia virtuosa utile a offrire una accoglienza dignitosa a tanti migranti.
La Prefettura di Reggio Calabria, il Commissario di Governo, la Presidenza Regionale, sono stati punto di riferimento e articolazione saggia e rassicurante per governare con gradualità e lungimiranza un processo di accoglienza, accettazione e integrazione; processo che è stato avviato con la creazione di un punto fermo di civiltà qual è la Nuova Tendopoli e che si svilupperà arricchendosi di nuove e più articolate iniziative. Si è consapevoli che il fenomeno migratorio, non nuovo e non episodico, ha in questo momento storico carattere epocale e richiede interventi su scala europea. Le nostre comunità, nate in modo plurale, considerano le migrazioni fattore di arricchimento e di crescita e non si sottraggono al dovere umano e cristiano dell’accoglienza, pronte a «toccare la carne di Cristo».
Andrea Tripodi sindaco di San Ferdinando (Rc)
Conosciamo bene la storia politica e personale dell’attuale sindaco di San Ferdinando che ha ereditato situazioni complesse e piene di ombre che avevano portato allo scioglimento del Comune per infiltrazione della ’ndrangheta. Conosciamo il suo impegno e la sua attenzione sui temi della legalità e dell’accoglienza, e ne abbiamo dato atto in precedenti articoli. Conosciamo le attività belle ed efficaci del volontariato di quel territorio, che da anni ci è prezioso alleato e guida nelle nostre ricognizioni di cronisti. Conosciamo l’importante progetto della nuova tendopoli realizzato soprattutto grazie all’efficienza e all’abnegazione dei volontari della Protezione civile regionale e locali, e a quella dei dipendenti comunali.
Tutto questo “Avvenire” racconta da tanto tempo e anche questo abbiamo fatto nell’ultima occasione, perché siamo convinti che le buone notizie vadano valorizzate soprattutto dove si pensa che sia tutto buio. È la storia anche di imprese virtuose come la Fattoria della Piana dove l’integrazione diventa realtà. Ma, gentile sindaco, non possiamo esimerci dal denunciare quello che non va: il degrado, l’emarginazione, il dramma che anche lei nella sua lettera evoca e ben tratteggia. E anche di denunciare ritardi, sottovalutazioni e colpe che hanno azzoppato il progetto della nuova tendopoli, contribuendo a creare l’attuale drammatica situazione. Si poteva e doveva fare meglio, creando più rete tra istituzioni e uomini di buona volontà. Il progetto deve essere completato coinvolgendo tutti gli attori perché, come lei giustamente sottolinea, il problema è politico, sociale e economico. Siamo certi, e lo abbiamo scritto più volte, che la splendida gente calabrese sa accogliere con cuore e intelligenza. E farà sempre meglio. Aspettiamo le annunciate nuove iniziative delle istituzioni. Alle quali, come sempre, daremo la massima attenzione così come alla crescente voglia di riscatto della sua terra. Ma mai nascondendo né sottovalutando le difficoltà e le resistenze, per essere voce di chi non ha voce, di chi subisce violenze e sfruttamento.
Antonio Maria Mira