Bonus disonorevole e solita antipolitica. Tutto chiaro, anzi non tutto
«Disciplina e onore» non sono ciance per nostalgici, autoritari o militaristi. Sono le due parole chiave dell’articolo 54, secondo comma, della Costituzione della Repubblica Italiana: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore». Questa norma non ha bisogno di interpretazioni, non necessita di altre norme di rango inferiore per essere attuata. Va semplicemente onorata, per restare in tema. Ma così semplice non dev’essere, a giudicare da quello che ci tocca raccontare nel pieno di questa torrida estate, per di più pandemica.
L’articolo 54 basta e avanza per una valutazione complessiva della vicenda dei cinque deputati in carica che, da lavoratori autonomi nella vita "comune", hanno chiesto (e in tre anche incassato) il bonus da 600 euro per l’emergenza economica da coronavirus. Che cosa c’è da capire? Alzi la mano chi pensa che ci sia qualcosa di onorevole, potendo contare su un’indennità mensile netta superiore ai 12mila euro, nel prendere i 600 euro destinati a lavoratori in difficoltà.
Non è moralismo, è logica e decenza. Tutto il resto, invece, è superfluo e forse ulteriormente sconveniente, se non dannoso. È superfluo sottolineare che non c’è stata alcuna frode, che la norma sul bonus non prevedeva tetti di reddito eccetera. Non dovrebbe essercene bisogno. Qualcuno ha tirato fuori l’esempio di altri liberi professionisti da 150mila e oltre euro l’anno che avrebbero presentato la medesima richiesta. È possibile, forse addirittura probabile, e altrettanto indecente. Indecente e non illecito, in questo caso. Ma il privato cittadino, in questo modo, si disonora come cittadino. L’onorevole anche come rappresentante dei cittadini. Non è poco. Maria Romana De Gasperi ha raccontato che svolse il lavoro di segretaria di suo padre Alcide senza retribuzione (se non quella che le passava lui, di tasca sua), perché per il leader democristiano non era accettabile che la stessa famiglia prendesse due stipendi dallo Stato. Altri tempi, altre tempre.
Al contrario, però, è sconveniente (e dannoso) prendere spunto da questa vicenda per alimentare ulteriormente il populismo, il giustizialismo e il senso di anti-politica, che non sono affatto la soluzione al problema dell’inadeguatezza di buona parte dell’attuale classe politica, ma ne rappresentano una delle cause. Che senso ha, dunque, invocare tetti di reddito e certificazioni per una misura ideata come soccorso immediato durante il lockdown? Prima che un lavoratore autonomo possa dimostrare un calo di fatturato trascorrono mesi: si sarebbe quindi rischiato di danneggiare ancora di più chi in quel momento versava in condizioni di reale necessità. E a che tipo di logica risponde il coro d’indignazione che accomuna i parlamentari del bonus a tutti i politici, a qualsiasi livello, abbiano presentato la medesima domanda? Certo, per eventuali consiglieri o addirittura presidenti regionali valgono le stesse considerazioni fatte per i deputati. Ma un consigliere comunale, soprattutto in un piccolo centro, non vive sicuramente della sua attività di amministratore e può aver avuto bisogno di un aiuto nel periodo più critico.
Come sempre, insomma, servirebbe misura. E anche quel pizzico di curiosità che spinge a guardare oltre. Per esempio, c’è chi sospetta che la storia dei furbastri del bonus sia stata fatta uscire ad arte per dare il "colpo di grazia" al fronte del "No" al referendum sul taglio del numero dei parlamentari che si terrà il 20 e il 21 settembre, in concomitanza con diverse importanti elezioni regionali e amministrative: un altro secchio di benzina sul fuoco dell’anti-parlamentarismo. Non abbiamo elementi per avvalorare questa tesi, né è questa la sede per entrare nel merito di quel taglio e del relativo quesito referendario. Ma se davvero così fosse, sarebbe un altro serio problema per la vita democratica di un Paese già pieno di problemi.