«No» alla cultura del sospetto. Movimento 5 Stelle, sensibilità cattoliche, democrazia
Caro direttore,
chiarisco subito: io non resisterei un solo giorno nel Movimento 5 Stelle. Per molte ragioni: il mito fallace della democrazia diretta che si risolve nel suo contrario (il padre padrone, l’azienda dinastica-partito), i vistosi limiti della sua classe dirigente, certa schizofrenia in tema di sicurezza e giustizia, l’approssimazione sino alla bizzarria della politica estera, un sovranismo ostile alla integrazione europea. Soprattutto la loro “cultura del sospetto” quasi che il mondo intorno fosse abitato da malfattori senza eccezioni.
Una sindrome settaria, attestata anche dalla indisponibilità alla mediazione, al dialogo e alla collaborazione con altri, attitudini che sono l’essenza stessa della politica. Ciò detto, penso sia sbagliata la loro demonizzazione. Che ci si debba interrogare seriamente sul loro largo consenso, specie giovanile; che i sinceri democratici non si possano rassegnare al congelamento di un terzo della rappresentanza parlamentare; che siano sbagliate le union sacrée “tutti contro i 5 Stelle” destinate a sortire l’effetto contrario di gonfiarne le vele. Ha ragione il vescovo Galantino: non si devono fare loro sconti. E non mi pare proprio che “Avvenire” gliene abbia mai fatti.
Prima e dopo l’intervista a Beppe Grillo, e pure in quella. Personalmente sono arrivato anch’io alla conclusione che vi sono due modi di fare errori nel rapporto con i 5 Stelle: tacerne limiti e contraddizioni, ma anche contentarsi di replicare loro adottando il medesimo registro della incomunicabilità e dello scontro, anziché sfidarli sul merito dei problemi. Senza incalzarli, li si lascia lucrare comodamente sulla loro facile rendita di opposizione. La democrazia risponde a una logica inclusiva. È la massima, notava un mio maestro filosofo, che «esclude le esclusioni» (pregiudiziali). Ce lo insegna la stessa storia italiana: forze in origine antisistema, a destra e a sinistra, con il tempo e grazie al confronto dialettico saggiamente ingaggiato dagli altri attori, più maturi democraticamente, si sono poi costituzionalizzate.
Ho interpretato così anche le sue recenti affermazioni, direttore, sui contenuti condivisibili del loro programma soprattutto in tema di povertà e lavoro che hanno fatto tanto discutere e che certo possono essere condivise o meno, da cattolici e no, laicamente. Per questo, ho trovato sopra le righe talune reazioni. Da quella di chi le ha bollate come “cattogrillismo” opportunistico a quelle che, mirando più in alto, le hanno lette polemicamente come espressione coerente con il “peronismo” di papa Francesco. Inconsapevolmente, tali ingenerosi censori sembrano adottare la medesima “cultura del sospetto” che non a torto si rimprovera ai 5 Stelle.
*Deputato del Pd