Ddl SalvaMari, la sfida. Bell'idea la pesca dei rifiuti, ma occorre vera cultura
Qualche giorno fa, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge con il quale si premiano i pescatori che ripuliscono il mare, riportando a terra la plastica finita nelle reti. Bella idea. Sarà contenta, quando la legge verrà approvata dal Parlamento, Greta Thunberg, la ragazzina che ha messo il mondo di fronte alle sue responsabilità nel cambiamento climatico e che mercoledì scorso ha incontrato il Papa. L’icona dell’ambientalismo green – nel senso di verde età – è a un tempo una risorsa per le istituzioni impegnate contro l’inquinamento globale e un pubblico ministero che inchioda la politica alla sua inadeguatezza. Buona parte di quella stessa sinistra che ha accolto in modo entusiastico la testimonianza di Greta rischia di trovarsi scavalcata e di non riuscire a spiegare ai propri elettori come mai su temi storicamente 'progressisti' non riesca a generare in prima persona idee e soprattutto decisioni.
Vale anche per il ddl SalvaMari. Il testo è bipartisan perché nasce da un’idea della Regione Toscana (centrosinistra), sposata dal Movimento 5 Stelle, ed è un esempio della condizione drammatica della politica nazionale di fronte ai problemi globali, che non è attrezzata a fronteggiare. Si tratta di una inadeguatezza dettata dalle dimensioni della sfida e dalla scarsa propensione di tanti politici italiani a studiare un dossier se eccede le 280 battute di un tweet. Se le prime possono essere invocate come attenuanti, la seconda sarebbe una condizione superabile ripulendo la classe politica da demagoghi e approssimativi. Una prospettiva di lavoro non scontata. La sintesi di una proposta socioeconomica e ambientale degna di questo nome richiede anni di studio e di formazione dei quadri e il rischio maggiore è di illudersi che, dopo dosi d’urto di dilettantismo e assurde polemiche contro i competenti, basti affidarsi a al 'tecnocrate' di turno.
Ma torniamo al ddl SalvaMari. Piace, è un passo avanti e colma una lacuna normativa che rendeva punibile il pescatore coscienzioso, colui che riportava a riva la plastica pescata. Quindi ben venga il fishing for litter all’italiana, purché questa 'pesca dei rifiuti' sia inserita in un processo culturale e non sia un modo per lavarci la coscienza, regalando qualche spicciolo ai pescatori e dimenticando le vere dimensioni della sfida, che va affrontata a livello comunitario e internazionale. Diversamente, rischiamo di fare come il bambino di Sant’Agostino, che voleva svuotare il mare con una conchiglia.