Opinioni

Il direttore risponde. Basta scavarci (e avvelenarci) la terra sotto i piedi

sabato 24 luglio 2010
Caro direttore,tutto il mondo segue con ansia e apprensione i tentativi di "tappare" il pozzo di petrolio situato nel Golfo del Messico e le altrettanto disastrose notizie arrivate nelle ultime ore dalla Cina. Enormi quantità di petrolio si sono riversate e continuano a riversarsi in mare, con conseguenze già ora disastrose sotto il profilo finanziario, ma che lo saranno ancor di più, col trascorrere del tempo, dal punto di visto ecologico ed ambientale. Ma – dramma nel dramma – ancora una volta si ha la netta percezione che il problema ambientale, salvo lodevoli eccezioni (e fra queste inserirei senz’altro gli scout e tutti coloro che fanno dello scautismo un ideale di vita) sia percepito dai più come un qualcosa di diverso ed estraneo da se stessi, quasi come se qualsiasi problematica ambientale fosse altro e altrove. Io invece, in tutta modestia, ritengo che la necessità di una più marcata tutela ambientale ci riguardi direttamente e, all’inverso, ogni nostro comportamento abbia riflessi immediati sull’ambiente che ci circonda. È fin troppo evidente che se i mari e la terra sono sempre più perforati alla ricerca ormai spasmodica di petrolio e di idrocarburi, è perché il nostro attuale stile di vita richiede quantità sempre maggiori di energia, e la cosa peggiore è che, spesso, percepiamo questo assioma come un qualcosa di assolutamente irreversibile, mentre invece non lo è! Stesso discorso potrebbe farsi sul "fronte" dei rifiuti, problematica ancora più vicina (anche fisicamente) a noi; tutti i giorni leggiamo sui giornali e apprendiamo dagli organi di stampa che smaltire l’enorme quantità di rifiuti che produciamo diventa sempre più difficile e costoso. Senza contare gli enormi appetiti che il settore del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti ha ormai, da anni, scatenato nelle cosiddette ecomafie. Eppure, quanti di noi hanno modificato le proprie abitudini di vita in modo da produrre meno rifiuti? È incredibile, infatti, quanta roba potrebbe non finire nei rifiuti con conseguenze positive su tutta la filiera successiva: tantissimi scarti alimentari di origine vegetale(la posa del caffè, molte verdure, la buccia della frutta) potrebbero, con un po’ di attenzione, diventare concime per i nostri prati e i nostri campi; tantissima legna, anziché finire in discarica, potrebbe essere opportunamente recuperata e bruciata d’inverno nei nostri camini, tantissime buste di plastica potrebbero essere riutilizzate più e più volte prima di essere buttate fra i rifiuti senza contare che la spesa quotidiana può essere comodamente riposta anche in pratici e talvolta divertenti shopper di tessuto. Da consumatori, poi, potremmo orientare le nostre scelte verso prodotti di aziende che prediligano involucri poco ingombranti e utilizzino materiale riciclato e biodegradabile. Mi fermo qui, ma è chiaro che gli esempi potrebbero essere centinaia, tutti molto facili da realizzare. Il rispetto dell’ambiente e uno stile di vita più sobrio con relativa diminuzione degli scarti dovrebbero essere, secondo me, ben più presenti nei programmi scolastici e nei palinsesti dei grandi mezzi di comunicazione anche, magari, al posto di qualche notizia di cui, come dire, talvolta si ha l’impressione di potere fare tranquillamente a meno. Basterebbe poco per ottenere, nel giro di pochi anni, vantaggi evidenti e consistenti, ma quel poco deve venire non dagli altri ma da ciascuno di noi. Non le pare?

Francesco Correra Porto Cesareo (Le)

Certo che mi pare, caro signor Correra. E sembra anche a me che non si ragioni, non si insegni e non si faccia abbastanza per far comprendere quanto sia ormai indispensabile una “rivoluzione di sobrietà” nell’uso delle risorse del nostro pianeta. C’è un metro di ragionevolezza che dovremmo (e, comunque, per sopravvivere, dovremo) adottare tutti – a ogni latitudine – ed è quello del rispetto: per la vita e per l’ambiente in cui viviamo. Sembra quasi banale dirlo dopo anni e anni di retorica ecologista, ma purtroppo è un’assoluta e ancora sottostimata priorità. Riconoscerlo è la premessa di un’autentica cultura dello sviluppo e della convivenza pacifica. Il Papa ce lo ha ricordato scegliendo per la Giornata Mondiale della Pace 2010 un tema che è, prima di tutto, un’interlocuzione diretta con ciascuno di noi: «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato». Ognuno di noi deve saper contribuire – come lei suggerisce – sorvegliando il proprio stile di vita, limitando gli sprechi e i rifiuti non riciclabili, spingendo a seguire con lungimiranza nuove strade nell’indispensabile produzione di energia... E scuola e mass media possono e debbono fare assai di più. Serve, infatti, una convinzione radicata e motivata per cambiare passo. Ed è necessario far crescere anche un potente e condiviso sentimento di riprovazione sociale nei confronti di chi non cura, sporca e distrugge la casa comune. Noi e i nostri figli non possiamo continuare a scavarci (e avvelenarci) la terra sotto i piedi.