Ad Haiti i casi di colera sono in aumento, ma il Paese non è preparato per far fronte alla malattia. L’Sos lanciato da Medici senza frontiere buca per un momento il velo di oblio steso sulla tragedia di un popolo, a poco più di due anni dal terremoto del 12 gennaio 2010, che devastò il Paese provocando 250mila morti. Oggi, nonostante l’intervento massiccio della comunità internazionale e la presenza di molte Ong, centinaia di migliaia di haitiani sono ancora senza casa e vivono in ripari di fortuna, mentre la situazione rimane allarmante (un dato per tutti: l’analfabetismo intorno al 65%).
Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini drammatiche del terremoto. Tutti siamo stati colpiti dalla tragedia di un Paese, già poverissimo, colpito al cuore da un cataclisma di enormi proporzioni.
Il mondo intero, in quel gennaio 2010, ha avuto un sussulto di solidarietà: sono stati stanziati oltre 5 miliardi di dollari per interventi di emergenza e ricostruzione. Eppure, a due anni e più dal sisma, chi opera sul campo ci ricorda che la maggior parte degli haitiani continua a non avere accesso a una latrina. La mancanza di condizioni igieniche degne di tale nome è la premessa, purtroppo, per il diffondersi di malattie come il colera. L’acqua pulita è tuttora un lusso per molti.
Al punto che – dà notizia un giornale messicano – ci sono casi di ragazzine che si prostituiscono per l’acqua da bere!
Ancora. Secondo un rapporto Onu, solo uno dei dieci progetti più importanti di ricostruzione è partito e solamente la metà dei fondi stanziati dalla comunità internazionale per la ripresa del Paese è stata utilizzata. Di chi è la responsabilità della situazione? «La ricostruzione è stata ed è particolarmente difficile e costosa, perché tutto è importato, perfino la sabbia», ha ricordato il nunzio apostolico ad Haiti. In effetti, non si deve dimenticare che, già prima del terremoto, Haiti stazionava regolarmente in coda alle classifiche mondiali dello sviluppo umano. Non solo: se c’è un record che ha caratterizzato per anni Haiti è l’instabilità politica. Il problema, in certa misura, permane: il presidente Michel Martelly, eletto a novembre 2010 e in carica dalla primavera 2011, ha impiegato mesi prima di riuscire a formare un governo. Si aggiunga che il mandato della Commissione per la ricostruzione di Haiti è scaduto nell’ottobre 2011 e da allora il Parlamento non l’ha ancora rinnovata, ragion per cui non esiste più una struttura che guidi o orienti gli sforzi.L’impressione generale è che la comunità internazionale si sia lavata la coscienza inviando fondi e spedendo 'sms solidali' e che le autorità haitiane a lungo abbiano annaspato nella gestione di un problema obiettivamente complesso, scaricando di fatto sulle ong l’onere dell’assistenza concreta alla popolazione. Negli ultimi mesi la situazione è un po’ migliorata grazie all’azione del nuovo governo. Ma molto ancora rimane da fare. L’Italia, in particolare, che si è distinta per l’opera di ong e di volontari molto attivi, ha il dovere morale di non lasciare soli quanti si stanno impegnando a ridare un futuro alla popolazione colpita, che oggi si trova a dover affrontare l’ennesima emergenza.
C’è la crisi, è vero. Ma sarebbe davvero miope e ingeneroso dimenticare l’ordine di grandezza dei problemi che la gente di Haiti sta vivendo. E non da oggi.