Le buone regole per il credito. Banche vere e vere banche
Alcuni studiosi hanno inventato complicate condizioni che garantirebbero il funzionamento di questo strambo 'teorema': come l’idea della 'concorrenza perfetta', con il suo implausibile quadro di contorno (che gli studenti di economia sanno realizzarsi solo sotto condizioni limite); oppure meccanismi 'di reputazione', in presenza di asimmetrie informative e istituzioni benevolenti perfette, che assicurerebbero la quadra tra creazione di valore economico e sostenibilità sociale ed ambientale.
Purtroppo la storia recente del settore bancario-finanziario insegna che il 'teorema' della superiorità sociale della banca massimizzatrice di profitto viene continuamente 'falsificato' dalla realtà. Basti pensare alla fissazione sulle 'economie di scala' degli ultimi decenni, che ha creato banche troppo grandi per fallire, ma che rischiano ormai di diventare persino troppo grandi per essere salvate; alla difficoltà dei clienti di verificare la qualità dei prodotti finanziari; all’opacità e alla difficoltà di calcolare i rischi e un sistema di incentivi perverso che spinge manager e trader a porre in atto strategie che esaltano i rendimenti ponendo seri rischi di stabilità al sistema e alla loro stessa impresa finanziaria. Tutti elementi che rendono di fatto inapplicabili i fattori riequilibratori (concorrenza, reputazione, istituzioni forti).
Un rapporto della Global Alliance for Banking on Values fotografa il fallimento di questo teorema confrontando negli ultimi dieci anni la performance delle 30 maggiori banche mondiali massimizzatrici di profitto (le cosiddette 'banche sistemiche') e delle 22 banche 'sostenibili' facenti parte dell’Alleanza e caratterizzate da un approccio basato sui valori e sulla promozione del bene comune. Il confronto è impietoso. Le banche sostenibili fanno molto più banca tradizionale delle banche sistemiche con un rapporto medio tra prestiti e totale dell’attivo del 72,4% contro il 40,7% e un rapporto medio tra depositi e totale dell’attivo del 72,5% contro il 42%. Le banche sostenibili mantengono la leadership anche in quanto a crescita media dei prestiti (+19,7% contro +7,8%), dei depositi (+19,6% contro +10%) e del capitale proprio (+20,1% e +11,5%). Infatti, nonostante una remunerazione del capitale leggermente inferiore (9,7% contro 10,8%) le banche sostenibili accumulano più capitale e hanno coefficienti di patrimonializzazione in media migliori (12,2% contro 10% di Tier 1 su attivo ponderato per il rischio). Insomma anche se non promettono rendimenti stellari agli azionisti, non sembrano avere problemi ad attirare capitali 'pazienti'.
Lo spaccato italiano conferma queste tendenze con banche etiche, cooperative e casse rurali che nel periodo di difficoltà dell’economia hanno segnato tassi di variazione del credito migliori (e minori sofferenze) delle grandi banche massimizzatrici di profitto. Come ha spiegato bene Peter Blom, presidente della Global Alliance for Banking on Values e numero uno della Triodos Bank, l’approccio che considera i profitti come un mezzo e non come un fine, tipico delle banche guidate da criteri di sostenibilità, si traduce in un maggior sostegno all’economia reale.
Allo stesso tempo l’industria finanziaria si è allontanata troppo dall’obiettivo per cui è nata: indirizzare risorse economiche verso i migliori progetti di imprese. Il paradosso è che le banche che hanno dato miglior prova di sé rischiano ora di essere quelle più tartassate dalla riforma delle regole. I criteri di ponderazione per il rischio favoriscono infatti le cartolarizzazioni e penalizzano il credito come attività illiquida, come se la causa della crisi fosse il credito tradizionale, e non invece le cartolarizzazioni. I finanziamenti alle imprese sociali e del Terzo settore vengono poi considerati più rischiosi di quelli alle piccole e medie imprese e penalizzano le banche in termini di accantonamenti quando i dati ci dicono che il rapporto di rischio è esattamente contrario. Infine, un recente parere dell’Eba considera addirittura meno stabile il capitale delle banche cooperative per via della minore liquidità del mercato secondario, quando è assolutamente evidente che i legami tra soci e banca sono molto più forti e stabili proprio in presenza di banca non massimizzatrice di profitto e di mercati dei capitali meno liquidi.
Un presidente Abi del secolo scorso, Giordano dell’Amore, sosteneva che le banche fossero imprese particolari e dovessero essere 'not for profit', al servizio della società. Ce n’è abbastanza nei dati descritti per sfidare certi paradigmi e riflettere sul serio su queste parole. Il problema di fondo, però, è se i regolatori a Bruxelles sono in grado di fare questa riflessione. Se la vigilanza unica europea significasse distruzione della ricchezza della biodiversità bancaria con l’appiattimento sul modello sconfitto dalla storia e dalla crisi finanziaria globale ci sarebbe poco da stare allegri.