La difficoltà che diventa problema esistenziale. L’errore che porta all’inevitabile crisi. La perdita dei punti fermi: il lavoro, la casa, gli affetti. La spirale della propria vita che si chiude e il pensiero che cerca la fuga individuando il "nemico esterno", come fosse il responsabile dei propri guai. La depressione che infine si fa ossessione: «Bisognerebbe sparargli a quelli lì, ai politici che hanno tutto, mentre io non ho più niente». Avventurarsi nei meandri della mente di un uomo che una mattina spara a sangue freddo contro due carabinieri, è come attraversare una foresta tropicale senza guida. Più facile perdere la strada, girando in tondo, che individuare il sentiero giusto per la mèta. Ma la vicenda di Luigi Preiti, osservata dall’esterno, racchiude in sé icasticamente almeno tre fenomeni che in questo periodo di forte crisi attraversano la nostra società, spezzando legami e purtroppo vite. Fenomeni sui quali possiamo agire quantomeno per alzare gli argini ed evitare che la disperazione tracimi.Il primo è la rappresentazione dell’imprenditore, in questo caso di un piccolo, piccolissimo imprenditore, che per cause contingenti – l’infortunio di un dipendente, mancati pagamenti da parte dei committenti o per altri il chiudersi delle fonti di finanziamento – vede venir meno il suo lavoro e con esso la propria identità. Di più: assiste quasi impotente al crollo di quanto costruito in decenni. L’azienda e i suoi collaboratori, l’abitazione di famiglia data in garanzia alle banche, quel poco o tanto benessere assicurato ai propri cari. «Papà, assieme alla casa ci porteranno via anche il cane?», chiedeva il figlio a un imprenditore "fallito" e pignorato, che ha raccontato al nostro giornale la sua storia di enorme difficoltà ma insieme di forte volontà di reagire (ne parliamo a pagina 3). Le federazioni di categoria, alcune associazioni e la Chiesa si stanno impegnando per non lasciare soli imprenditori e lavoratori. Ma ancora di più si può fare, da un lato per rendere più solidi e concreti i legami di solidarietà, dall’altro perché le banche tornino a svolgere in via prioritaria il loro vero mestiere: quello di dare credito alle imprese, anziché speculare sui mercati finanziari.Il secondo fenomeno racchiuso nella vicenda di Preiti è quello del gioco d’azzardo. Della dipendenza dalle scommesse, sempre perdenti; della (non) logica del colpo di fortuna che ribalta le sorti d’una vita; della volontà che si annienta mentre i conti in sospeso crescono. Su queste colonne ne abbiamo scritto infinite volte e ancora lo facciamo oggi (a pagina 2), nella convinzione che il vizio del gioco sia appunto una malattia da contrastare e non certo da "promuovere" con pubblicità martellanti e offerta di nuove sale, grazie a un’esiziale compiacenza nella Pubblica amministrazione.Infine, non meno diffusa, è la tentazione qualunquista, di coloro per i quali la colpa è sempre degli altri: la casta dei politici anzitutto, rea di ogni nefandezza, anche al di là degli effettivi torti e ritardi. E poi i burocrati, gli esattori, gli immigrati o, perché no, i giornalisti. Una fuga dalla responsabilità che per la gran parte si esaurisce nell’invettiva. Mentre nei soggetti più fragili si trasforma in ossessione, così martellante da armare la propria mano. Casi isolati, per fortuna, ma è incredibile che gesti simili trovino comprensione e persino giustificazione in una parte dell’opinione pubblica e di politici irresponsabili.Nella vicenda dell’attentatore di Palazzo Chigi, assieme a una devastante solitudine, c’è tutto questo. Emergenze sociali – la crisi delle imprese, il gioco d’azzardo, il populismo qualunquista, il venir meno dei legami solidali – sulle quali è possibile e necessario agire con provvedimenti concreti di governo. Perché l’ultima parola non sia quella della volontà di annientamento, il grido disperato di chi non vede altra via di fuga che squarciare, con la fiammata di un colpo di pistola, il buio che ha di dentro.