Il direttore risponde. Avvenire e la «grande guerra», nel ricordo niente e nessuno è escluso (solo la retorica)
Caro direttore,
mi permetta di esprimere il mio dissenso sulla linea adottata da “Avvenire” in ordine alla prima guerra mondiale. Per varie volte nella sezione Agorà è stato presentato il fatto della «decimazione». È vero, centinaia e centinaia di soldati italiani sono stati fucilati in base al codice di guerra allora vigente. Ed è dunque giusto ricordare: «L’Italia dei poveri messa al muro». Numerosi storici sono stati interpellati su questo triste fatto che è stato praticato, e in misura anche maggiore, da tutti gli Stati europei. L’intento degli articoli era dimostrare come questa, come tutte le guerre, sia stata un’«inutile strage», ma non può mettere a tacere il fatto che la guerra all’Impero austro-ungarico venne dichiarata dopo vivissimi confronti avvenuti nel Parlamento e nelle piazze. Il fatto determinante è che un popolo si è trovato in guerra e i suoi figli sono stati mandati a morire nelle trincee del Carso e sulle Alpi, ma con la convinzione preminente di combattere l’ultima guerra del Risorgimento, per liberare Trento e Trieste. La gran parte dei combattenti ha creduto di servire il nostro Paese, lasciando sul campo centinaia di migliaia di caduti. Il loro stato d’animo è riassunto in una scritta lasciata dagli Alpini sulle Tofane, tra le Dolomiti Ampezzane: «Tutti avevano la faccia del Cristo nella livida aureola dell’elmetto, tutti portavano l’insegna del supplizio nella croce della baionetta, e nelle tasche il pane dell’ultima cena e nella gola il pianto dell’ultimo addio». Per questo non dobbiamo dimenticarli.
Giampaolo Zapparoli - Mantova