Pluralità del capitale umano. Attenti al merito
Chi dei tre è più meritevole di essere assunto? O quantomeno di arrivare al secondo stadio della selezione?
Questo esercizio comparativo è molto comune nelle grandi organizzazioni, o quando le imprese medio-piccole affidano la selezione del personale ad agenzie esterne. Un primo sguardo di buon senso a questi tre curricula dovrebbe innanzitutto dirci che abbiamo di fronte tre persone tutte meritevoli, ma meritevoli per ragioni diverse. Nell’attuale cultura d’impresa, però, i meriti che vengono visti e premiati sono sempre più quelli di Andrea, molto meno quelli di Bruno e di Catia. Nessun intelligente selezionatore nega che i meriti siano molti, ma poi, per la cultura dominante nel mondo del business, li pesa e ordina, ritenendone alcuni più rilevanti di altri. Anche perché i meriti tecnici e i titoli si prestano a essere facilmente tradotti in quantità, e così sembrano oggettivi e quindi equi. Invece i meriti relazionali e qualitativi sono difficili da ordinare oggettivamente, e soprattutto sono stati e sono spesso utilizzati come scuse per mascherare assunzioni di amici e parenti; sono meriti che si prestano di più anche all’abuso, ma non per questo meno importanti, anche in termini di fatturato e di sviluppo dell’impresa.
Si commette così l’errore grave di dimenticare che un master, le tecniche, il know how, si possono acquistare sul mercato, ma alcuni talenti relazionali e qualitativi, il know why, sono legati alla nostra storia, frutto di scelte e di investimenti lunghi e costosi, che nessun mercato può vendere. Oggi le imprese non soffrono e chiudono solo per mancanza di fatturato e di capitali finanziari, ma anche per carestia di capitali relazionali e spirituali, e per un analfabetismo relazionale ed emozionale che porta a non saper più dire parole come 'scusa', 'perdonami', parole che quando mancano bloccano le imprese come e più del razionamento del credito. Il cosiddetto 'capitale umano' è la prima risorsa di ogni impresa, ma è un capitale plurale, fatto di molte dimensioni e competenze.
Molte donne, soprattutto mamme, sviluppano, per natura e per necessità, capacità di gestire la complessità (figli, famiglia, genitori, parenti, lavoro, rapporti sociali …), capacità che hanno anche un grande valore organizzativo ed economico, se opportunamente viste e valorizzate, come ormai mette in luce anche la ricerca scientifica sui danni economici dovuti alla discriminazione delle donne nei luoghi decisionali. La crisi economica è il risultato non solo del demerito, ma anche, e soprattutto, di scelte di troppi manager assunti per i soli meriti misurati da master e PhD, ma rivelatisi demeritevoli in relazioni, etica, umanità.
C’è bisogno di una ridiscussione pubblica di che cosa sia il merito e della sua natura plurale. Altrimenti continueremo ad avere troppe persone meritevoli che restano fuori dalle mura della città del lavoro. Alcuni vi restano perché sopravanzati da immeritevoli protetti e raccomandati; ma molti altri e molte altre perché hanno meriti che la nostra economia e società non sa vedere e riconoscere. Due ingiustizie, una più importante dell’altra, ma la seconda più grave perché non è neanche percepita come tale.