Opinioni

Il direttore risponde. Assurde accuse, e brutta deriva

sabato 23 aprile 2011
Gentile direttore, mi permetto di esprimere qualche considerazione sul varo a larga maggioranza parlamentare della nuova Costituzione ungherese e sulle polemiche di quelli che l’hanno etichettata subito come "ultraconservatrice": mi pare il caso esemplificativo della tendenza sempre più accanita a violare un principio fondamentale, quello dell’autodeterminazione dei popoli. Esponenti di organismi internazionali – è inutile citarli: sono i soliti – tendono sempre più a intromettersi nelle scelte fondamentali di una comunità nazionale. Mi sembra di percepire e leggere nell’atmosfera una sorta di guerra fredda fra certo "fronte internazionalista", capitanato ancora una volta dai soliti noti, che con la scusa della salvaguardia dei diritti umani intervengono a gamba tesa e anche a pistola fumante, e "fronte nazionalista" inteso come comunità e volontà di un popolo di scegliersi il proprio destino. Gli esempi sono sotto i nostri occhi anche oggi. Cordiali saluti.

Salvatore Arena, Milano

Capisco perfettamente il suo sconcerto e la sua perplessità di fondo, gentile signor Arena. Ma trovo che sia assolutamente indispensabile una precisazione: in Ungheria sono in ballo solo in minima parte indiscutibili «diritti umani», perché in realtà le questioni sollevate attengono soprattutto a quelli che qualcuno osa chiamare «diritti civili». È Amnesty International a fare purtroppo drammatica confusione su questo punto niente affatto marginale. E ciò testimonia della confusione in cui è ormai caduta questa (in altri tempi e per altri versi esclusivamente benemerita) organizzazione non governativa, facendo coro con qualche altro precipitoso – o interessato – commentatore.Quali sono, infatti gli elementi della nuova Costituzione ungherese definiti «particolarmente problematici» da Amnesty? L’incipit è fulminante: «L’introduzione della protezione della vita dal concepimento (articolo II), la definizione del matrimonio come un’unione tra un uomo e una donna (articolo L), la norma che permette l’ergastolo senza possibilità di domiciliari (articolo IV) e l’esclusione dell’orientamento sessuale dai terreni protetti rispetto al reato di discriminazione (articolo XV.2)». Da non credere.Su quattro questioni sollevate ne considero realmente problematica una soltanto: l’idea – se davvero di questo si tratta, e penso di sì – che l’ergastolo sia una pena inesorabilmente rigida, insomma quel terribile e odioso "fine pena mai" che nell’ordinamento italiano assume la forma dell’«ergastolo ostativo». Potrei poi prendere in considerazione una seconda idea, il nodo della «discriminazione» (sono anch’io contro ogni discriminazione), ma per motivi esattamente opposti a quelli di chi protesta con veemenza. Prima di tutto per un motivo sostanziale: non sono assolutamente assimilabili il «sesso» di una persona – che è un dato oggettivo – e il suo vero o presunto «orientamento sessuale», che è concetto vasto e rischioso – c’è chi vi ricomprende persino la pedofilia! – e soprattutto giuridicamente impalpabile e ambiguo, basti pensare che moltissimi tra i suoi stessi propugnatori asseriscono che l’«orientamento» può anche essere ripetutamente «mutevole»... E poi perché tali questioni non possono e non devono diventare mai "bandiere politiche".Ma sui punti iniziali non ci siamo proprio. Siamo, anzi, al cospetto di una assurda e tutta ideologica mistificazione. Non le nascondo, caro Arena, che mi sdegna soprattutto il tentativo di accreditare come lesione di un "diritto umano" la scelta ungherese di ribadire nella Legge Fondamentale il principio (già presente nell’ordinamento di quello Stato) della difesa della vita di un uomo o di una donna sin dal suo primo inizio. È un affermazione spietata, che scredita gravemente chi l’ha formulata, e che rende sfrenata e ancor più squassante la deriva abortista di Amnesty. Una deriva in accelerazione e, purtroppo, in ampliamento, come conferma la protesta per la «definizione del matrimonio come un’unione tra un uomo e una donna». E che cos’è di grazia, in ogni civiltà, da secoli e secoli, il matrimonio se non questo? È nella natura, ed è la natura stessa del matrimonio. E, per quanto ci riguarda come italiani, è così anche nel nostro ordinamento e, prima di tutto, nella lettera e nello spirito dell’articolo 29 della nostra Costituzione repubblicana.Tuttavia, conoscendo bene certo spirito dei tempi e certi puntigli, non mi meraviglia che una Costituzione che parli chiaro su punti così importanti possa apparire a qualcuno «ultraconservatrice». Ma so – come ha bene annotato Carlo Casini su Avvenire del 20 aprile – che in realtà il testo ungherese (che ha altrove statuizioni discutibili) in quei due passaggi nevralgici richiama preziosi valori cardine della nostra comune umanità e indica una ricca prospettiva di futuro.Per il resto, gentile lettore, io credo nella cooperazione positiva tra i popoli per realizzare una società sempre più giusta e accogliente, in special modo verso i piccoli e deboli. Una società che non contesta la vita nelle sue stesse radici, che non si arrende a logiche e interessi di morte. E sono convinto che, nel rispetto di ogni persona e delle diverse identità culturali, si possa "fare" un mondo migliore. Lavoro, e prego Dio, per questo.