Il direttore risponde. L’assenteismo tra i vigili della Capitale e il nodo dell’esemplarità dei capi
Caro direttore,
parrà strano ai più, ma a me la vicenda dei vigili urbani di Roma ha messo il buonumore. Mi rendo conto che stiamo parlando di una storia seria, che segue di pochi giorni quella ancor più grave di infiltrazioni mafiose nella capitale, ma vorrei tentare di sdrammatizzare un po’. Per una serie di ragioni. Innanzitutto, vorrei dire al sindaco Ignazio Marino di calmarsi. Certo, doveva dare un segnale; ma minacciare di licenziare quasi un intero corpo di vigili non so dove lo condurrà. Non sarà facile, in primo luogo, all’Inps distinguere tra malati veri e immaginari. Tra l’altro, a me hanno insegnato che in taluni casi (e la notte di Capodanno con i botti era proprio uno di questi casi) si va al lavoro anche con la febbre. Inoltre, se a qualcuno venisse in mente di punire i politici assenteisti e fannulloni si aprirebbe una caccia alle streghe interminabile. Tutti hanno le loro ragioni. La protesta (perché di questo si tratta) dei vigili urbani di Roma contro il piano di rotazione della Giunta comunale mi ha ricordato, con le dovute proporzioni, la protesta della polizia americana contro il sindaco di New York. Questa vicenda, dicevo, nonostante tutto mi ha messo il buonumore. Perché si tende sempre a pensare che gli italiani sono un popolo di poeti e navigatori, e in parte ciò è assolutamente vero; però più che santi ed eroi, specie nel tempo che viviamo, noi italiani siamo soprattutto uomini normali, con tutti i pregi e difetti che ciò comporta. L’aveva intuito, prima di tutti, il grande attore romano Alberto Sordi, che in queste ore mi è tornato in mente (ecco spiegato il motivo del mio buonumore) per la sua indimenticabile interpretazione de “Il vigile”. Chiudere gli occhi e immaginare che al posto del sindaco Vittorio De Sica, che nel film viene multato dal fermo e incorruttibile vigile Sordi per eccesso di velocità, ci sia il sindaco della capitale Marino, mi ha fatto ridere di gusto e di cuore. Forse, con i lavoratori italiani, abituati da decenni a una certa maniera di operare, bisogna usare più la carota che la frusta e il bastone. E soprattutto bisogna essere d’esempio, predicando meno e razzolando meglio.
Stefano Masino, Asti