I nodi da sciogliere. Assegno unico o nuovo fisco: a famiglie e figli serve di più
In Europa i Paesi considerati un modello per quanto riguarda gli aiuti economici alle famiglie con figli, come la Germania o la Francia, seguono un principio abbastanza semplice: ogni nucleo familiare deve ricevere un sostegno che tende come minimo a coprire il costo annuo di mantenimento di ogni figlio. La cifra può variare in base all’età, ma è di circa 3.000 euro l’anno a bambino o ragazzo. Per raggiungere questo obiettivo si ricorre a un assegno o a “sconti” fiscali, se non a entrambe le misure. L’assegno funziona bene per i redditi bassi, col fisco si premiano i redditi più alti rispetto ai single. L’Italia ha molto da recuperare rispetto a questa visione. Un ritardo che ora può essere colmato: dopo il via libera unanime della Camera all’«assegno unico e universale» per i figli da 0 a 21 anni, lo scorso 21 luglio, si apre la possibilità di avviare una riforma del welfare familiare di portata storica. Alla norma Delrio-Lepri, inquadrata nel Family Act della ministra Elena Bonetti, manca solo l’ok del Senato, poi la Legge di Bilancio dovrà individuare le risorse alla luce dei decreti attuativi. Non sarà un passaggio facile, perché molti restano i nodi da sciogliere.
Il costo dell’assegno
Un primo problema è rappresentato dall’importo dell’assegno e dunque dal suo costo complessivo. La cifra già a disposizione, considerate tutte le elargizioni già previste a favore dei genitori, e che confluiranno nella nuova misura, è di circa 15 miliardi: 8,2 miliardi sono prelevati dalle detrazioni per i figli a carico, 6 miliardi dagli assegni familiari oggi beneficio dei soli lavoratori dipendenti, il resto da Premio nascita, Bonus bebè, Bonus famiglie numerose... In pratica si raccoglie da molte voci di spesa per mettere tutto in una sola, facendo ordine. Ma è chiaro che per estendere il nuovo assegno alle categorie attualmente escluse, cioè autonomi, disoccupati, inattivi, lavoratori sommersi, servirà uno stanziamento aggiuntivo se non si vuole penalizzare nessuno. Quanto? Per capirlo bisogna tenere conto del fatto che oggi i lavoratori dipendenti con reddito familiare attorno ai 15.000 euro percepiscono già circa 250-260 euro al mese a figlio, tra assegni e detrazioni. Dunque questa cifra andrà comunque corrisposta a molte famiglie, senza che poco o nulla cambi per loro. E anche tra i nuovi beneficiari saranno molti a dover prendere questa cifra, se si pensa che il 44% dei contribuenti italiani dichiara un reddito (individuale) inferiore a 15.000 euro. È per questo che l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) ha chiarito che per avviare l’assegno e inserire una clausola di salvaguardia saranno necessari almeno 10-11 miliardi in più, non i 2-6 miliardi che alcuni studi avevano ipotizzato (si veda: tinyurl.com/assegno1 e tinyurl.com/assegno2 ).
Il ruolo dell’Isee
Un secondo aspetto sul quale riflettere riguarda la decisione di agganciare l’assegno alle dichiarazioni Isee, facendolo decrescere col reddito fino ad azzerarsi, caso quasi unico in Europa: solo Italia e Portogallo su 15 Paesi della Ue hanno un assegno-figli sottoposto alla prova dei mezzi, come ha rilevato anche una ricerca del Cnr per il Dipartimento per le politiche della Famiglia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (qui: tinyurl.com/polidemo). Il senso di un child-benefit universale, infatti, non è solo quello di “aiutare chi non ce la fa” ma di rendere il più possibile neutro per tutti il costo del mantenimento dei figli. Le misure contro la povertà seguono un altro percorso, non possono sostituirsi alle politiche familiari. Parlare di redistribuzione nel caso di un assegno figli è oltretutto improprio: l’obiettivo costituzionale della progressività del prelievo è perseguito attraverso le aliquote fiscali. Ma il vincolo della dichiarazione Isee (che avrebbe bisogno di una riforma, come spieghiamo qui: tinyurl.com/iseerifo) presenta un ulteriore fattore di criticità. Un assegno-figli dovrebbe assicurare ai genitori entrate certe e stabili. Dover presentare ogni anno una dichiarazione che certifica reddito e patrimonio rischierebbe di far cambiare l’importo del benefit nel tempo, tradendone lo spirito.
Il rischio dell’evasione
Un’altra questione riguarda le dichiarazioni infedeli. Problema non da poco in un Paese con 110 miliardi l’anno stimati di tasse non pagate, dove solo il 3% dichiara redditi superiori ai 3.000 euro mensili. Con un assegno ancorato all’Isee, la differenza tra quanto spetterà ai redditi medi e a quelli che al Fisco risultano inferiori sarà decisiva: una gradualità molto forte rischierebbe di essere l’ennesimo incentivo indiretto al sommerso e all’evasione. In Italia oltre i 40.000 euro di reddito le famiglie non ricevono più benefici sostanziali. Il pericolo da scongiurare è dunque quello di una misura che preleva da chi paga le tasse e redistribuisce a chi non le paga, incentivando l’elusione. Una soluzione potrebbe essere quella di un assegno di importo fisso ed elevato per tutti, cioè veramente universale, e un premio aggiuntivo per chi può dimostrare il reale stato di bisogno.
Il nodo della riforma fiscale
L'elemento veramente decisivo riguarda la riforma fiscale alla quale lavora il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. In Germania le famiglie possono scegliere tra un assegno da circa 220 euro al mese (maggiorato di 110 euro per i più poveri) o una deduzione fiscale da 7.800 euro l’anno a figlio. In Francia per chi paga le tasse e ha più figli, oltre all’assegno per tutti c’è il Quoziente familiare che abbatte nettamente l’imponibile per chi ha più figli. Questo significa che altrove tutte le famiglie beneficiano di un assegno di base e di uno sconto fiscale capace di fare la differenza. Un recente studio del centro Eutekne di Enrico Zanetti ha ricordato che le tasse sul reddito in Francia e Germania sono molto più basse per le famiglie con figli rispetto ai single, oltre che rispetto alle coppie italiane. Una famiglia monoreddito da 40.000 euro l’anno, con due figli a carico, a Parigi paga 5.000 euro in meno di tasse rispetto a un single, a Berlino 9.000 euro in meno; rispetto a una identica famiglia italiana il vantaggio è di 6.000 euro a Parigi e 10.000 euro a Berlino. Se il reddito è di 60.000 euro, a Parigi la famiglia paga 10.000 euro in meno di tasse rispetto a un single, e a Berlino 6.000 in meno; se il confronto è con l’Italia la famiglia parigina versa al fisco 10.000 euro in meno, quella tedesca 13.000 euro in meno. Ogni ragionamento serio sulla riforma fiscale (e sulla crisi demografica) dovrebbe partire da qui: dalla presa d’atto che altrove qualunque famiglia, se ha figli, ha un trattamento fiscale che considera veramente il costo della prole. È il principio dell’equità orizzontale, che la nostra Costituzione riconosce all’articolo 53 (l’economista Matteo Rizzolli lo ha spiegato bene qui: tinyurl.com/equorizz).
Equità per le famiglie
Il nuovo assegno unico e universale può essere una riforma epocale. Per raggiungere questo obiettivo occorre però capire quali sono gli ostacoli che vi si frappongono. L’idea che sta avanzando è quella di avere un’Irpef che non distingue tra single e famiglie, e un assegno-figli al quale è affidato il compito di compensare questa distorsione. Se così fosse, allora le risorse da destinare all’assegno dovranno essere superiori a quelle finora ipotizzate. Con i 10 miliardi in più ipotizzati, infatti, si ottiene un assegno medio di 160 euro a figlio. In pratica il contributo verrebbe esteso a categorie che oggi non lo ricevono – un risultato comunque eccezionale – ma si darebbe poco o niente in più a tutti gli altri e al ceto medio. Un contributo di 250 euro al mese ai soli figli minorenni renderebbe necessari circa 15 miliardi aggiuntivi. Tanti? È la stessa cifra impegnata per il Bonus da 80-100 euro, o per Quota 100 delle pensioni. Questione di scelte, insomma.