Dove sei Europa? Che fai Italia?. Aspra baldoria, ferita profezia
Da una parte ci sono i disattesi trattati internazionali, dall’altra i polmoni gonfi d’acqua di chi annega. Da un lato le convenienze politiche di questo o di quello, all’angolo opposto i polpacci scuoiati di un ragazzo sopravvissuto ai campi libici. Ne ho visti tanti così, reduci dalla barbarie animalesca che trionfa in mezzo al deserto, ammutoliti, offesi, mortificati, resi cinici dalle violenze subite, incapaci di reagire, invalidi spirituali che poi, una volta arrivati non so come nelle terre della proclamata civiltà giuridica del Vecchio e Nuovo Continente, sembrano quasi increduli nel verificare sulla propria pelle l’ipocrisia dei dettati costituzionali.Non erano proprio Italia e Francia, Germania e Olanda, Stati Uniti d’America, le nazioni più sviluppate? Paesi in grado di sconfiggere per sempre la legge della jungla, nelle cui metropoli affollate e vorticose sarebbero finalmente sfuggiti ai soprusi ferini. Dunque si trattava di fandonie. Menzogne. Trucchi. Inganni a catena. Per questo i corpi che continuano ad affogare nel Mar Mediterraneo vanno idealmente posti accanto ai cadaveri del padre e della figlia fotografati sulle rive del Rio Grande che Donald Trump ha trasformato in un campo di morte.
Tutte le altisonanti dichiarazioni sulla protezione dei più deboli, sulla libera circolazione delle merci, sulla dignità delle persone, a partire da quelle pronunciate nel 1789 fino a ieri l’altro, sono crollate. Tradite da misere contingenze. È bastato il sospetto di poter perdere i nostri privilegi per buttare giù, in un colpo solo, le tanto sbandierate aspirazioni secolari. Su questo smarrimento, su questa ignoranza, su questi egoismi, gli agitatori di popolo prosperano. Brindano. Fanno baldoria. S’inchiodano agli scranni da cui discettano.
Così noi continuiamo a parlare dei poveretti imbarcati sulla Sea Watch, come se niente fosse, mentre i funzionari delle commissioni sui diritti umani dettano i loro bollettini sporchi di sangue. «Siamo sempre / razzisti / nazisti / schiavisti / fedeli / infedeli / tutti un solo israele / e sempre questo faraone / e sempre questo mahagma / preumano / un oceano di gemiti / che nessuno ascolta più». Antichi versi di padre David Maria Turoldo che sembrano scritti oggi. Confesso che quando, pochi giorni fa, la Corte di Strasburgo ha respinto il ricorso presentato dalle 42 persone a bordo della nave della ong, ho ripensato alla potenza profetica del piccolo servitore di Maria: «Maledetta Europa, / per i tuoi giorni e per le tue notti / per il tuo passato e per l’avvenire… / Europa sempre affamata / non di fede / ma di oro e sangue…». Come sono vere queste parole! Le ho sentite risuonare dentro di me una notte d’inverno, nel cimitero di Fontanella, sotto l’abbazia di Sant’Egidio, nei pressi di Bergamo, e ho l’impressione di risillabarle adesso, nei giorni della vergogna, della speculazione, dell’esibizionismo, mentre, come da una radio scassata, filtra la voce di un nuovo sbarramento da costruire nella martoriata e bella Trieste, al confine italo-sloveno.
Sembra impossibile crederci. Quasi trent’anni fa cadeva il Muro di Berlino. Ma solo gli illusi potevano immaginare che tutte le cortine di ferro del Novecento più tragico fossero state abbattute da quelle semplici picconate televisive. Chris Gueffroy, nato nel 1968, morì il 5 febbraio del 1989 durante la fuga dalla cosiddetta Germania Democratica. Venne fucilato dalle guardie appostate sulla torretta. Oggi il fantasma di questo eroe di un eterno presente, paladino dell’intraprendenza, torna a rivivere nei volti tesi dei quarantadue profughi trattenuti al largo dell’isola di Lampedusa. Dove troveremo la forza per denunciare il patetico cerimoniale a cui sono stati sottoposti? Fra scartoffie e conferenze, procedure e protocolli, così agonizza l’Europa.